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Il sollievo del mondo scientifico, ma i cittadini contestano duramente il verdetto. Sullo sfondo la necessità di un chiarimento, anche di linguaggio, fra scienza e magistratura.

La Corte di Cassazione, con recentissima sentenza, ha posto finalmente fine al processo che ha portato sul banco degli imputati sette componenti della Commissione Grandi Rischi accusati di omicidio colposo e lesioni .
Vittime incolpevoli, in quella che fu una immane tragedia, i cittadini dell’Aquila colpiti dal terremoto del 6 aprile 2009. Condannati nel processo di primo grado a 6 anni ed assolti in appello, sei dei sette imputati sono stati definitivamente assolti. Sono Franco Barberi (ai tempi presidente della Commissione Grandi Rischi); Enzo Boschi (ex presidente dell’Istituto nazionale di Geofisica e Vulcanologia, esperto di fama internazionale, forse il più noto fra gli imputati); Giulio Selvaggi (direttore del Centro nazionale terremoti); Gian Michele Calvi; Claudio Eva e Mauro Dolce. Unico condannato, con pena ridotta a due anni, Bernardo De Bernardinis (già vicecapo del settore tecnico della Protezione Civile) in quanto aveva attivamente rassicurato la popolazione sulla mancanza di rischi derivanti dalle scosse telluriche a quel tempo frequenti: “Non c’è un pericolo – disse dopo la famosa riunione del 31 marzo 2009 che ha portato al processo – anzi è una situazione favorevole perché c’è uno scarico di energia continuo”. Le sue frasi, hanno specificato i giudici nella sentenza di condanna in secondo grado, esprimevano “concetti scientificamente errati e certamente rassicuranti” e “tale condotta viola i canoni di diligenza e prudenza”.
Com’è di tutta evidenza si tratta di una sentenza molto importante non solo per la gravità ma anche e soprattutto per la contrapposizione netta che si è creata fra parte della magistratura (quella inquirente in particolare, supportata dall’opinione pubblica) e il mondo scientifico. Polemiche aspre e giudizi sprezzanti da parte di moltissimi esponenti del mondo scientifico internazionale hanno a suo tempo criticato e stigmatizzato la sentenza di condanna in primo grado ritenuta figlia di atteggiamenti antiscientifici. Questo è il punto basilare, cioè la necessità che le norme di legge, e quindi anche il potere giudiziario, convergano sull’utilizzo di un linguaggio comune e su intendimenti chiari e confrontabili. Cosa non facile da farsi in questa strano paese dove l’antiscientismo – anche il più becero e assurdo, come ha dimostrato il tristissimo caso del cosiddetto “metodo Stamina” che ha coinvolto bambini anche piccolissimi – ogni giorno che passa fa nuovi proseliti. E non poche volte, purtroppo, la magistratura segue l’onda lunga, meglio il riflusso, di questo autentico oscurantismo di stampo medievale: dal no alle vaccinazioni alla lotta contro la sperimentazione clinica sugli animali da laboratorio (ovviamente controllata e il meno invasiva possibile). E’ questo l’aspetto generale (a prescindere dall’episodio in sé e per sé, per grave che sia) che chi di dovere – mondo scientifico, magistratura e politici intesi nell’accezione nobile del termine – dovranno al più presto esaminare. Per quanto da sponde opposte e conflittuali è quanto è emerso anche dalle dichiarazioni immediatamente successive alla lettura della sentenza della Cassazione del dr Romolo Como, Procuratore generale dell’Aquila ( che si è detto “alquanto sconcertato” in quanto, a suo dire, “non si può investire questo processo di un significato di riabilitazione della scienza” – e del prof. Enzo Boschi secondo il quale “bisognerà leggere le motivazioni della sentenza, ma è chiaro fin d’ora che è una sentenza molto importante. Il giudice è stato coraggioso”.
Il testo della motivazione, secondo il famoso sismologo, potrebbe diventare “il punto di partenza per far convivere – è altamente auspicabile n.d.r.- la scienza e il metodo scientifico con la magistratura. Sarebbe la prima sentenza del genere perché attualmente questi sono due mondi molto lontani, anche nel linguaggio”.

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