Per ripulire i fondali e offrire nuove importanti opportunità di occupazione ai pescatori è urgente e necessario un adeguamento legislativo secondo i dettami comunitari e l’approntamento di un adeguato sistema di raccolta e smaltimento dei rifiuti nei porti di approdo

Fino ad alcune decine di anni fa il pescatore “schiappa”, quello che nelle vignette dei settimanali enigmistici veniva emblematicamente ed usualmente ritratto con una scarpa attaccata all’amo, forse sarà rivalutato. Nel senso che, trascorsa un’era geologica per quanto attiene la “produzione” dei rifiuti, i pescatori di mestiere, quelli di mare, dovranno per forza di cose – e in maniera assolutamente meritoria e socialmente utile – trasformarsi in spazzini del mare. L’enorme quantità di rifiuti, in gran parte plastici, che l’inciviltà la pigrizia e la sciatteria collettiva fanno confluire nei mari anche italici mettendone così a serio rischio la vivibilità, potranno, anzi dovranno, essere recuperati anche grazie al lavoro e all’impegno dei pescatori. Che dovranno utilizzare le reti a strascico (per molti versi deleterie per quanto attiene la pesca) quanto necessarie per raccattare i residui praticamente immarcescibili che l’usa e getta dei nostri tempi sforna di continuo.

Con uno dei soliti anglismi ai quali non sfuggono più neppure i bambini, il cosiddetto “fishing for litter made in Italy” ha – purtroppo ma altrettanto doverosamente – un futuro certo, almeno nel nostro Paese.
Prove sperimentali di ripescaggio/recupero di rifiuti, per lo più plastici ma non solo, dai fondali marini sono stati promossi da Legambiente che a Ecomondo, appena concluso a Rimini, ha reso noti i primi risultati. Al tempo stesso confortanti (il metodo sembra funzionare), sconfortanti dall’altro: il pattume è praticamente dappertutto. Le prove sperimentali effettuate nel Tirreno (Arcipelago Toscano,Terracina) e nell’Adriatico (Manfredonia e Porto Garibaldi) in sei mesi di attività frazionata hanno portato alla “pesca” complessiva di 4,8 tonnellate di rifiuti. Alcuni dati: nell’Arcipelago Toscano, da maggio a settembre, sono state raccolte 1,8 ton, ben 1,6 ton. in due mesi solo a Terracina; a Porto Garibaldi, in Romagna, in una sola giornata sono stati raccolti più di 390 chili che, in 23 giornate di lavoro, hanno superato la tonnellata. Di qui, con le parole del direttore di Legambiente Giorgio Zampetti, la doverosa considerazione che questa pratica va decisamente incentivata perché “si tratta di una misura quanto mai necessaria, e fra l’altro è già prevista dalla direttiva europea Marine Strategy. Purtroppo in Italia è ostacolata dalla normativa vigente: oggi, infatti, fatta eccezione per questi progetti pilota, questa pratica è vietata e i pescatori sono purtroppo costretti a ributtare in mare i rifiuti pescati. E’ quindi urgente l’approvazione di una legge che consenta finalmente a questa attività di potersi svolgere regolarmente”. Anche perché il “fishing for litter” può, per non dire deve, diventare un lavoro parallelo a quello della pesca.

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