Agli esperti il compito di fugare un qualche dubbio e perplessità di troppo.

Basta avere solo una manciata d’anni sopra la ventina per sapere, come si diceva una volta, che l’apparenza spesso inganna. Come dire, sempre per giocare un poco con i vecchi proverbi,che non è poi così difficile “ vedere lucciole per lanterne “. Con quel che ne consegue.
E’ invero eclatante sorprendente e non comprensibile più di tanto per il consumatore, l’iconico uomo della strada, apprendere che il consumo delle carni (di tutte le carni comprese quelle di pesce) sono la metà di quanto fino ad oggi stimato. Si tratta di un dato molto importante e di una sorpresa per certi aspetti strabiliante foriera com’è di conseguenze per il variegato mondo della produzione (zootecnia), della trasformazione (industria alimentare) e della sanità in senso lato per gli aspetti salutistici che la problematica sottende.

Prima i fatti. Pochi giorni fa, a Bologna, nella Sala Martelli del Comando Regionale dei Carabinieri, l’Accademia Nazionale di Agricoltura – prestigioso   sodalizio scientifico che opera in sinergia d’intenti con la Benemerita, e in particolare con i NAS, i più che qualificati difensori della legalità in campo agro-alimentare – ha presentato il volume “ Consumo reale di carne e di pesce in Italia “ a cura di Vincenzo Russo, Anna De Angelis e Pier Paolo Danieli edito da Franco Angeli.

Lo studio, coordinato da Vincenzo Russo, professore emerito dell’Università di Bologna (la prestigiosa Alma Studiorum Mater), suggella una ricerca di grande valenza che impatta a piedi giunti sull’animato e intenso dibattito in corso su “ quanta “ carne  è consigliabile nella dieta anche rispetto ai benefici e ai presunti rischi per la salute ad essa collegati.

La ricerca, svolta da una commissione di studio dell’ASPA (Associazione Scientifica per la Scienza e le Produzioni Animali)  ha operato – si legge in una nota – “ una distinzione dirimente fra consumo reale e consumo apparente di questi alimenti, poiché i dati attualmente più diffusi (Fao, Ismea) sono proprio quelli apparenti, stimati  cioè sulla base dei Bilanci di Approvvigionamento Nazionali utilizzati solo a fini macroeconomici “.  Ecco l’apparenza che inganna. Ad oggi per calcolare i consumi complessivi e quelli pro capite si procede in questo modo: il totale della produzione nazionale (calcolata su peso equivalente carcassa per le carni e su peso vivo per il pesce) viene aggiunto all’importazione; poi si sottrae il quantitativo esportato e, per ottenere il consumo pro capite, si divide per il numero di abitanti.

“ Questo calcolo – viene precisato –  è però ben distante dal consumo reale perché esprime anche il contenuto e il peso di parti non edibili di carne e pesce (ossa, cartilagini, grasso, carcasse, interiora). Ciò nonostante, il consumo apparente è l’unico dato che viene preso in considerazione in modo improprio per lo studio delle relazioni tra consumo di carne e salute ”.

La nostra ricerca – sottolinea Vincenzo Russo, professore emerito di Zootecnia all’Università di Bologna – si è posta l’obiettivo di trasformare il consumo apparente in consumo reale attraverso uno strumento di stima rapido e affidabile – il Metodo della Detrazione Preventiva delle Perdite” – che, a partire dai bilanci di approvvigionamento dei diversi Paesi esprima però l’effettivo consumo, ovvero la quantità di alimento realmente assunto”. “ Applicando questa metodologia – riprendiamo sempre dalla nota scritta – la fotografia dei consumi di carne in Italia cambia radicalmente fornendo valori più attendibili e precisi “

Non abbiamo motivo, e men che mai la competenza per esprimere il contrario, ma come è possibile, ci chiediamo, che fino ad oggi sia stato utilizzato un metodo di calcolo “ sbagliato “ del 50%: una enormità tanto sotto il profilo delle quantità che dei riscontri economici e monetari. E’ un intero sistema statistico errato sin dalla partenza (si fa fatica a crederlo) o lo si è utilizzato come forma di compromesso e/o per coprire non sappiamo quali e quanti interessi? Tutti leciti e corretti? Agli esperti la risposta.

“ Secondo i dati di consumo apparente attualmente disponibili (Fao, Ismea) in media un abitante italiano consuma annualmente 237 g al giorno di tutti i tipi di carne (pollo, suino, bovino, ovi-caprina). Il consumo reale pro capite corrisponde invece a meno della metà, ovvero 104 g al giorno di carne, pari a 728 g alla settimana e 38 kg all’anno. Tale consumo comprende tutta la carne, indipendentemente da come (cruda, cotta, trasformata in salumi, presente in preparazioni alimentari miste, in scatolata, ecc.) e da dove (casa, ristoranti, fast food, mense, comunità, bancarelle, ecc.) essa viene consumata.

Considerando solo il consumo di carne rossa (bovina e suina) e salumi (escludendo quindi le carni bianche), il consumo reale si attesta a 69 g al giorno, pari a 463 g pro capite a settimana. Per quanto riguarda invece solo la carne bovina, il consumo reale scende a 24,8 g al giorno pro capite, ben al di sotto dei 100 g al giorno indicati da OMS/IARC quale soglia di rischio di contrarre malattie tumorali “.

“E’ evidente – queste le conclusioni di Vincenzo Russo –  come questi dati vadano a ridimensionare l’allarme sui consumi eccessivi di carne in Italia, avendo prima sovrastimato al doppio i dati. Il metodo può essere facilmente applicato a tutti gli alimenti disegnando una nuova mappa delle corrette quantità di nutrienti per una sana e corretta alimentazione”.

Per l’Italia Il comparto delle carni è molto importante: genera annualmente un valore di circa 30 miliardi di euro, pari al 17% dell’intero introito del comparto agroalimentare (180 miliardi) e al 2% del PIL nazionale (1.500 miliardi). Gli occupati sono circa 180.000.

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