LA LINEA DELLE PALME INTERSECATA E OLTRAGGIATA DAL FAMELICO PUNTERUOLO ROSSO CHE LE DISTRUGGE.

“A me è venuta una fantasia, leggendo sul giornale gli scandali di quel governo regionale: gli scienziati dicono che la linea della palma, cioè il clima che è propizio alla vegetazione della palma, viene su, verso il nord, di cinquecento metri. Mi pare, ogni anno … La linea della palma … io invece dico: la linea del caffè ristretto, del caffè concentrato … E sale come l’ago di mercurio di un termometro, questa linea della palma, del caffè forte, degli scandali: su su per l’Italia, ed è già, oltre Roma “. Sono parole di Leonardo Sciascia –  tratte dal ” Giorno della civetta ” del 1961 – scrittore di vaglia e allora di grande successo (oggi, invece, piuttosto dimenticato) e politico di notevole vis polemica vicino al partito Radicale.

In tempi disperati e disperanti come gli attuali, per questa Italia che non sa scrollarsi di dosso difetti e apatie ormai ataviche, l’intersezione fra la linea scura “del caffè forte “, –  quello ricco di tostatura e di caffè Robusta preferito di palati esigenti ed abituati  tipici del Sud – e quella rossa delle palme – le svettanti signore del cielo altere come vikinghe statuarie quanto inarrivabili – ci dicono, fuori di metafora,  che il sapore forte e abbrutente delle mafie circola un poco ovunque, Roma compresa ovviamente, mentre le palme, simbolo di bellezza eleganza e voglia di vivere, sono preda dell’ancora oggi indomabile Punteruolo rosso, un tremendo coleottero che le rosicchia dal di dentro  senza dare loro, il più delle volte, scampo. E i viali, un tempo maestosi e non solo in Italia ma un poco ovunque, piangono e intristiscono al pari di moltissimi parchi e giardini soprattutto nelle zone rivierasche.  Questo autentico killer, che in una decina d’anni si stima abbia provocato la morte di circa 200.000 palme nel nostro Paese (e sono stime sicuramente per difetto), sta alterando profondamente la peculiarità di paesaggi da sempre connotati dalla presenza delle palme e così agendo provoca danni gravissimi anche e soprattutto all’indotto turistico.

Originario dell’Asia e della Melanesia, il Rhynchophorus ferrugineus conosciuto come Punteruolo rosso dal rostro allungato (l’apparato masticatore dotato di mandibole decisamente robuste) che lo rende di facile riconoscimento, è stato accidentalmente introdotto nella Penisola Arabica nel 1985  dove ha provocato gravi danni alle coltivazioni dei datteri. In Europa è comparso nel 1993 nelle isole Canarie dove è rimasto confinato per diversi anni. Inizialmente sottostimata la sua pericolosità, dopo circa un decennio è arrivato quasi contemporaneamente in diversi Paesi del Mediterraneo: Italia, Francia, Portogallo, Turchia, Isola di Malta, Grecia e Cipro.  E’ ormai assodato il suo cosmopolitismo nell’areale di diffusione delle palme. È infatti presente in forma massiccia in aree vastissime e fra loro anche molto lontane come Oceania, Asia, Africa, Medio Oriente e Sud dell’Europa. Si tratta, purtroppo, di un autentico campione della globalizzazione fitopatologica. E al momento rappresenta una vera e propria emergenza, ancora irrisolta, malgrado gli sforzi compiuti.

La prima segnalazione italiana – tutti i dati li dobbiamo alla competenza di Carlo Pasini e Pietro Rumine, due ricercatori rispettivamente del CRA – FSO di Sanremo e del CRA – ABP di Firenze – risale al 2004 in un vivaio di Pistoia probabilmente a seguito dell’importazione di piante infestate dal Nord Africa. La velocità di adattamento dell’insetto, la scarsa resistenza della Palma canariensis (la palma delle Canarie) dominante quanto a presenza nei nostri ambienti e, bisogna pur dirlo, il mancato tempestivo sostegno politico ed economico dell’UE unito alle carenze nazionali hanno contribuito al non contenimento prima e alla diffusione poi di una patologia oramai devastante. Va pur detto, per obiettività, che difficoltà tecniche legate soprattutto all’altezza delle piante e alla loro numerosità in ambiti per lo più urbani e spesso di grande pregio architettonico e connotati da presenze umane non di rado molto elevate, intralciano notevolmente le operazioni di potatura, per non dire di vera e propria dendrochirurgia o di risanamento meccanico come usa dire oggi, e dei trattamenti chimici tanto difficili da eseguire quanto costosi. Queste le due forbici del problema: intrinseche difficoltà di carattere tecnico e logistico e costi sempre molto elevati, non di rado insostenibili anche per le casse pubbliche.

Gli esemplari adulti sono buoni volatori e come tali capaci di colonizzare nuove piante anche a distanza di diversi km dal punto di partenza. Ogni femmina depone circa 250 uova e le larve giungono a maturità in tre/quattro mesi. Attaccano 26 specie di palme, comprese quelle da cocco nelle zone di origine. In Italia la quasi totalità degli alberi colpiti è di canariensis: coltivata per ornamento è la più utilizzata per la sua adattabilità a diverse condizioni ambientali e la resistenza al freddo.

Per ragioni legate alla fisiologia della pianta oltre che alla difficoltà obiettiva di monitorare piante non di rado molto alte  e di difficile accesso, anche per occhi esperti non è facile cogliere i primi segnali dell’infestazione in corso quando le piante si presentano con un aspetto ancora sano. Quanto mai numerose e al momento non ancora risolutive le tecniche per rilevare il più precocemente possibile la presenza del devastatore. Si passa dalle trappole a ferormoni (di uso piuttosto frequente anche in agricoltura) a tecniche anche molto raffinate quali le ispezioni endoscopiche (indagando all’interno del fusto), camere termografiche per individuare, con il calore, la presenza dei parassiti; persino tecniche acustiche raffinatissime, sorta di stetoscopi, per captare i segnali emessi dagli insetti in particolare quando si alimentano. E, ancora, metodi biochimici  che hanno l’obiettivo di individuare molecole dette marker sintetizzate dalla palma infestata. E’, questa, forse, la strada più promettente.  Una curiosità l’uso di cani appositamente addestrati  – in vivaio, in Israele, hanno dato risultati giudicati incoraggianti – che hanno però dovuto scontare, in ambito urbano, la presenza di troppi stimoli olfattivi. Al pari negativo l’uso del cosiddetto naso elettronico.

La lotta – com’è facile evincere da quanto prima esposto, la prevenzione è l’unica possibilità reale di salvaguardia – prevede l’impiego di mezzi e tecnologie diverse: trattamenti endoterapici, sorta di flebo che attraverso la linfa tendono a raggiungere le larve; metodi di risanamento meccanico, ossia interventi di asportazione delle parti interessate con metodologie para-chirurgiche  molto costose e che necessitano, fra l’altro, di personale altamente qualificato; trappole a ferormoni e/o attrattivi alimentari per la cattura massale degli adulti;  trattamenti insetticidi con utilizzo di tecnologie diverse, ultima delle quali – sembra  promettente – di droni per l’aspersione mirata di insetticidi e altri prodotti anche biologici; rimozione e distruzione delle piante e delle parti infestate a mezzo cippatura, ossia la trinciatura, l’unica che garantisce l’uccisione delle larve.

Sottolineato che solo un’attenta azione di monitoraggio e di difesa preventiva possono dare una qualche possibilità di successo e che le scelte operative,  ancora oggi in mancanza di protocolli sufficientemente standardizzati, vanno valutate di volta in volta anche in funzione di costi sempre molto alti e in certi casi anche altissimi, nella speranza che gli entomologi riescano ad individuare fra gli insetti il o gli antagonisti specifici, si sta lentamente facendo strada la lotta con il rilascio mirato di nematodi e funghi entomopatogeni. Cioè di nematodi e funghi che, venuti a contatto con le larve, sono in grado di parassitizzarle. Alcuni formulati sono ormai in commercio e, in particolare i funghi spruzzati nel cuore della pianta dai droni, fanno sperare in risultati interessanti. Forse, dall’unione delle tecnologie informatiche e meccaniche  e l’utilizzo della microbiologia, potrà partire la riscossa. Per cercare di salvare il salvabile.

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