A FRUTTEGGIAR E VERDUREGGIAR INSIEME – 1
Piccole divagazioni fra spicchi di frutta e cespi di verdura

Frutta e verdure compagne di vita, non solo a tavola. Dall’alto o dal basso
ci guardano, ci giudicano e, spesso, ci vogliono bene. Ricordiamolo

A cura di Gianluigi Goi

… esce e si pubblica come e quando si può

“La frutta un tempo era un segno di un alto livello sociale e anche un premio, per cui toglierla dalla dieta era un castigo. Ora non è più così e alimenti di distribuzione sociale sono altri, in una sostituzione alimentare soprattutto di tipo edonista tra cibi di alte qualità di piacere e dotati di un valore simbolico. La sostituzione edonista della frutta con nuovi cibi dotati di alte qualità di piacere e con particolare valore simbolico è quindi da considerare tra le cause della diminuzione della frutta nella dieta degli italiani”. Sono parole di Giovanni Ballarini, riconosciuto esperto delle complesse problematiche agro-alimentari analizzate anche alla luce di specifici studi di sociologia alimentare.
E’ inutile girarci attorno: le continue mutazioni economico-sociali e gli scivolamenti delle mode e degli stili di vita stanno condizionando pesantemente il consumo nazionale sia della frutta (in particolare) che della verdura. E i danni, tanto d’ordine sanitario che economico, si fanno sentire piuttosto pesantemente. Basta osservarli. L’abbandono della nostra famosa “dieta mediterranea” (patrimonio immateriale universale Unesco, non dimentichiamolo) spessissimo proclamata a piena voce e sempre meno frequentata soprattutto dai giovani, è alla base di tendenze di consumo decisamente deleterie sia per la salute dei cittadini che per l’italica economia. Per cercare di incrementare le famose cinque porzioni giornaliere di frutta e verdura consigliate dalle linee guida ufficiali, un ruolo molto importante spetta, anche, alla comunicazione intesa nella duplice veste di informazione in senso stretto e di messaggio pubblicitario. Purtroppo, bisogna ammetterlo, la situazione nel suo insieme presenta molte lacune stretta com’è fra l’esaltazione a prescindere degli aspetti nutraceutici o paramedici e la banalizzazione dei cosiddetti, e sempre presenti come certi ospiti indesiderati, “corretti stili di vita”. Premesso che le concause che incidono negativamente sono innumerevoli, personalmente credo si debba, con convinzione accompagnata da un utilizzo accorto e moderno dei mezzi espressivi, sottolineare con enfasi gli aspetti edonistici e la gioia di vivere di cui la frutta con i suoi colori e i suoi molti sapori è inesauribile portatrice. In altre e poche parole bisogna evidenziare la sua conclamata capacità di evocare e suscitare emozioni. Anche forti e nelle situazioni le più diverse.
E’ storia di queste ultime settimane il grande successo, con polemiche e considerazioni di rilievo apparse su media importanti, sul fronte del costume e dei comportamenti collettivi che hanno contraddistinto l’uscita di due cortometraggi firmati Esselunga, insolitamente denominati ”La pesca” e “La noce”. L’espressione di un approccio – a mio avviso molto ben riuscito, a tratti anche poetico – di una immaterialità che stupisce in un messaggio nella sua essenza pubblicitario e che va ben oltre la dimensione razionale delle due vicende.
Complice l’appena trascorsa pausa natalizia, una coincidenza arricchente e coinvolgente al massimo grado data l’enorme statura morale dell’autrice Liliana Segre – senatrice a vita ed inesausta testimone dei valori di libertà e democrazia che porta tatuati sul braccio marchiato nell’infamia del campo di sterminio di Auschwitz – la lettura del suo libro (scritto a quattro mani con Enrico Mentana) “La memoria rende liberi. La vita interrotta di una bambina nella Shoa” – viene a corroborare la nostra convinzione che la frutta, e anche la verdura, abbiano un potere evocativo ed emozionale importanti. A questo punto, con senso di deferenza nei confronti dell’autrice e nel ricordo degli immani sacrifici subiti dai deportati nei campi di sterminio, ci limitiamo a riportare, senza commento, alcune frasi che ci sembra esprimano con grande chiarezza i concetti prima esposti.

Il “mandarino violaceo”, nel buio pesto della sofferenza

“Mi sembrava strano essere ancora viva in quelle condizioni fisiche. … Il gonfiore sotto il braccio era ormai un mandarino violaceo pieno di pus, avevo la testa in fiamme e la febbre alta. …”La sorvegliante, seccatissima, mi guardò l’ascesso … lo incise, lo strizzò e lo fasciò con la carta igienica … (e) mi mandò via con le solite minacce”.

“Ma, ecco, il miracolo!”. Nella forma di una piccola “rotella di carota” che ha il sapore dell’umanità e della compassione

“Facevo fatica a muovere le gambe, mi girava la testa, non trovavo nemmeno il mio posto per buttarmi sul pagliericcio. Ma, ecco, il miracolo! Una prigioniera sconosciuta tirò fuori da una sacca sdrucita un pezzetto di carota e me lo regalò. Fu un dono straordinario: non solo perché nel Lager una carota valeva un tesoro, ma perché qualcuno aveva provato pena e generosità nei miei confronti. Ero talmente felice che non ebbi il coraggio di addentarlo: succhiai quella rotella di carota perché durasse il più a lungo possibile. Tanti anni sono passati, eppure quel pezzo di carota ricorre spesso nei miei pensieri. … Quel pezzetto di carota … fu per me un momento di vera felicità”.

“Quello dell’albicocca è il sapore della libertà”

“Quel 1° maggio lungo la strada incontrammo gli americani. Sulle prime non capimmo neanche chi fossero … Lanciavano sulla gente del cibo … Ricordo che riuscii a raccogliere solo un’albicocca secca, perché ero imbranata, incapace di farmi avanti, come in fondo sono rimasta. Da allora dico sempre che quello dell’albicocca è il sapore della libertà. … Ancora pochi giorni e nessuno di noi ce l’avrebbe fatta”.

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