Se persino in Camerun una mostra fotografica sulla pace invita a rinvigorire il valore simbolico dell’Ulivo Mediterraneo, in Italia cosa facciamo? Troppo poco: impegniamoci di più
Lo sappiamo tutti “mala tempora currunt” e si corre il rischio, purtroppo, che “sed peiora parantur” (se ne preparino di peggiori). La situazione geo-politica globale, mai così tesa dopo molti decenni, è sul punto di deflagrare, motivo per cui ogni lumicino di luce che cerchi di vivificare il sonno della ragione e della paura è bene accetto e gradito. Molto semplicemente un battito d’ali di speranza ha stimolato chi scrive alla lettura dell’articolo (Vatican News, 8 agosto 2024) intitolato “Camerun, in Nunziatura una mostra permanente per ‘piantare la pace’ nei cuori”. Le parole di Emily Pinna -visual storyteller e curatrice della mostra fotografica ‘Planting Peace’, permanente nella sede della Nunziatura Apostolica a Yaondè, fortemente voluta dal nunzio apostolico monsignor Iosè A. Bettencourt – sottolineano il significato dell’iniziativa che a me sembra travalichi l’ambito camerunense e quello africano per giungere fino a noi: “ In Camerun cresce una pianta (la Dracaena braunii, conosciuta anche come Lucky bamboo o bambù della fortuna- ndr) che prende il nome di Pianta della Pace che per la gente di qui ha un valore culturale, spirituale e simbolico, è una metafora di riconciliazione e di unità. Piantando o esponendo le ‘Piante della Pace’ le persone e le comunità esprimono il loro desiderio di pacificazione e la speranza di un futuro libero da conflitti”. Gli alberi, scrive Jean-Pierre Sonnet, gesuita, (La Civiltà Cattolica, Quaderno 4106, luglio 2021) “rendono migliori le culture e le religioni. Conferiscono loro un surplus di dolcezza”. E gli ulivi da sei milioni di anni regalano a noi, che ci riteniamo Sapiens senza esserlo fino in fondo, “dolcezza” e, mi viene da dire, anche “saggezza”. Dai Sapiens assolutamente non ricambiata. Da parte loro saggi indù ci ricordano che ogni albero è “un organismo così generoso da offrire la sua ombra (anche) a chi viene per tagliarlo”, e persino bruciarlo.
Sensibile al richiamo dei flebili battiti d’ala della speranza che promana dalla mostra camerunense che invita “a piantare” la pace nei cuori, faccio mie le parole del poeta palestinese Mahmoud Darwish: “Il ritratto, per l’olivo, non è né verde né argento. / L’olivo è il colore della pace, se la pace avesse bisogno / di un colore”. Da sempre rappresenta infatti il simbolo della condivisione. E, aspetto fondamentale in particolare in tempi complicati e difficili come quelli che stiamo vivendo, l’ulivo unisce anche le tre religioni abramitiche. Il poeta tedesco Rainer Maria Rilke ci dice che Dio aspetta “la dove ci sono le (sue) radici”. “Ognuno dei tre monoteismi – scrive p. Jaen-Pierre Sonnet – incrocia più volte l’<albero dell’olio> nella propria tradizione. Insieme possono coltivare l’olivo nella loro memoria, nella loro immaginazione e nei loro propositi, concentrandosi sulle lunghe temporalità, al di là delle rotture”. Quasi un miracolo, sembra sottolineare la poetessa israeliana Lea Goldberg nella sua poesia “Olivi”: “Hanno resistito all’ondata di calore / ed erano confidenti nella tempesta, / come se si fossero appostati per l’eternità / sul pendio di fronte al villaggio in rovina, / dove si argentarono nella fredda luce della luna crescente. / Ancora fermi, quanto abbondanti in questa pace. / Ecco la vecchiaia matura! / Ascolta, ascolta le raffiche / di vento attraverso il paesaggio degli olivi. / Che alberi modesti! / Riesci a sentire ora? Stanno parlando ora / Cose sagge e semplici” (dal saggio di J.Pierre-Sonnet).
In occasione della celebrazione, il prossimo 26 novembre, della Giornata mondiale dell’Olivo ci auguriamo – questo il senso ultimo di queste nostre piccole considerazioni – che il mondo cattolico sappia e voglia rinvigorire il ruolo e l’importanza dell’olivo quale simbolo, espressione com’è del Mediterraneo tutto e non solo dell’Italia, dei valori della pace e della coesistenza pacifica come si diceva una volta. Ma non secoli fa. Lo auspichiamo con una citazione insolita quanto beneagurante di bambini bresciani di fine Ottocento raccolti nel duomo cittadino: “La Domenica delle Palme era un giorno molto allegro. Già dal mattino presto la cattedrale veniva riempita di rami d’ulivo, a volte grandi come gli alberi di Natale qui in America. L’aria era ricolma di profumi e suoni: noi bambini, infatti, presa una foglia dal ramo d’ulivo ci divertivamo a metterla tra le labbra e, soffiando, produrre un suono piacevole. Lo facevamo tutti insieme e così si innalzava una musica fantastica”. E’ un ricordo dell’artista bresciana Marietta Ambrosi (1852 – 1921) presente in ‘Vita di una ragazza’ (traduzione italiana a cura di Fen edizioni di Brescia dell’originale americano del 1892).
Gianluigi Goi
17 novembre 2024