Fra molte cause naturali di morte spesso compare la mano colpevole dell’uomo.

L’immagine di un delfino o, peggio ancora, di una balenottera spiaggiata, privi di vita o che si dibattono in poca acqua, loro, simbolo al tempo stesso di possanza ed eleganza senza limiti, impressiona anche chi ne venga a conoscenza solo tramite foto o filmati. Quando poi fa capolino la certezza che troppe volte la mano dell’uomo è stata la causa, o la concausa preponderante, della morte del grande mammifero, è difficile trattenere un moto di rabbia, magari pensosa ma pur sempre di rabbia.

Nel 2016, secondo i dati del  C.RE.Di.Ma (il Centro di Referenza nazionale per le indagini diagnostiche sui mammiferi marini spiaggiati che ha sede presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte Liguria e Valle d’Aosta, con sede a Torino, che opera sotto la supervisione del ministero della Salute) i cetacei spiaggiati ufficialmente censiti sono stati 256. Numero ampiamente superiore a quello degli ultimi anni anche a causa di un evento definito di “mortalità anomala“ che si è verificato lungo il tratto ionico delle regioni Puglia, Calabria e Sicilia dove gli esemplari spiaggiati sono quasi quintuplicati.  In “ questo periodo è stato rilevato un aumento della positività al Morbillivirus in concomitanza con il riscontro inusuale di lesioni microscopiche compatibili con un’infezione acuta/sub-acuta nella maggior parte dei soggetti”.  Per lo più sono stati coinvolti delfini (in particolare stenella striata e tursiope), ma si sono verificati anche sporadici spiaggiamenti di grampi (delfini), balenottere, capodogli, zifi e delfini comuni. Diversi e complessi gli esami di laboratorio finalizzati alla ricerca dei principali patogeni conosciuti dei mammiferi marini: accertamenti virologici, microbiologici, parassitologici, istologici e sierologici.

Fra le cause di mortalità ci limitiamo a segnalare quelle classificate di origine antropogenica (cioè provocate dall’uomo) nel cui ambito spicca l’interazione pesca/collisione con natanti. Le cause di morte riferibili all’origine infettiva, come negli anni precedenti – è riportato in una nota – “ è stata evidenziata la persistente circolazione di agenti virali diversi”.

Anche la percentuale di spiaggiamenti connessi alle cause antropogeniche “ è rimasta elevata anche se in linea con quanto osservato negli anni precedenti ”.

L’esito degli esami necroscopici ha evidenziato cause di natura infettiva (origine virale, batterica, parassitaria, micotica) e altre comprensive di disordini metabolici e degenerativi.  Di sicuro interesse scientifico, ma non priva di motivi di preoccupazione, la “ presenza di un ceppo virale di nuova introduzione nel Mediterraneo con sequenze genetiche identificate in animali spiaggiati in anni precedenti in Galizia (Spagna) e Portogallo “. Diversi inoltre i casi cosiddetti ND, cioè non definibili. In 23 casi – dato significativo – è stata avanzata l’ipotesi che la morte sia d’ origine antropogenica: accertata in 12 soggetti e sospettata in altri 11. Più in dettaglio 19 casi per interazione con le attività di pesca e 4 per collisioni con natanti.

Infine riportiamo, da fonte degna di considerazione, alcune valutazioni non presenti nel rapporto C.RE.Di.MA. che ampliano la problematica sottolineando aspetti anche inquietanti soprattutto per quanto attiene gli spiaggiamenti di massa, cioè che coinvolgono più individui, in quanto “ questi eventi sono spesso associati all’uso di tecnologie dirette alle prospezioni geologiche del fondo marino e alle esercitazioni militari con uso di sonar che possono indurre gravissime patologie da decompressione alle specie che si immergono in profondità”.

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