Foto di Massimo Telò

Fotografia di Massimo Telò.

 

PESCHIERA DEL GARDA: LE ANGUILLE RISORGIMENTALI DI GIACOMO BROCAI, PESCATORE PATRIOTA

“C’è un lago in Italia, il Benaco, nel territorio veronese che è attraversato dal fiume Mincio: alle uscite di esso annualmente all’incirca nel mese di ottobre, quando il lago è in burrasca, per effetto, come è chiaro, della costellazione autunnale le anguille vengono a densi gruppi trascinate dai flutti, in numero impressionante, a tal punto che nei recipienti del fiume, fabbricati proprio per questo motivo, se ne trovano degli ammassi di un migliaio ciascuno”. Così scriveva il famoso erudito Plinio il Vecchio (23- 79 d.C.) nel suo celeberrimo Naturalis Historia. Un rapporto strettissimo e di lunghissima data connota ed interseca, quindi, la vita della bella e storica città di Peschiera  alle anguille in primis e al pesce in generale come testimonia  inequivocabilmente  il toponimo “Peschiera” derivazione del longobardo “Piscaria”. Ulteriore testimonianza dello stretto legame che intercorre fra l’anguilla e la cittadina veronese che fu storico avanposto delle italiche virtù risorgimentali, è lo stemma comunale che, non a caso,  raffigura due eleganti  e sinuose anguille  argentate, su fondo rosso, sovrastate da una stella d’oro a cinque punte.

Ancora oggi, malgrado innumerevoli studi e ricerche, di loro e della loro vita non si sa poi molto e, per dirla con un poeta toscano, di fama non banale, Francesco Berni (1497-1535) “ L’anguille non son troppo conosciute / … Vivace bestia che nell’acqua cresce, / E vive in terra e ‘n acqua, e ‘n acqua e ‘n terra / Entra a sua posta ov’ella vuole, ed esce . … è tutta buona e tutta bella / ch’ell è morbida, bianca e dilicata  … Sta nella mota il più del tempo ascosa   … Ha gravità di capo e di cervello … Ella fugge la conversazione, / E pur con gli altri pesci non s’impaccia / Sta solitaria e tien  riputazione. “  Di qui il peana finale del poeta  speranzoso di gustose ed ambite abbuffate: … “ Sia benedetto ciò che le nutria, / Fiumi, fossati, pozzi fonti e laghi / E chiunque dura a pigliarle  fatica “.

Date queste premesse di carattere generale in qualche misura riconducibili  allo stile di vita  degli abitanti delle terre palustri adriatiche ed anche dei paduli toscani, non stupisce che Giacomo Brocai, nato il 7 marzo 1821 in contrada Malfatta del comune di Peschiera, antenati pescatori a Venezia, e lui stesso pescatore, contadino e falegname  sulle sponde del Mincio veronese  dove morì nel 1902, abbia dedicato alla pesca delle anguille espressioni succose e vividissime nel suo per molti versi straordinario diario – curato da Maria Grazia Romizi – “ Sessantanni di storia patria e di cronaca familiare tra i guadi, le pesche e i mulini del Mincio (1842-1902) “ edito nel 2011 dall’Associazione Studi Storici Carlo Brusa di Desenzano e dalla casa editrice Grafo. Un diario sui generis, meglio un dettagliatissimo libro delle spese che  annota una miriade di numeri intersecando e sovrapponendo  le minuzie domestiche agli accadimenti familiari e di lavoro più importanti e gravi (tre matrimoni, sette figli, lutti dolorosissimi, diatribe con alcuni compaesani sfociati in veri e propri atti di violenza ) con annotazioni sulla situazione politica e sociale in tumultuoso divenire  che lo connotano come un patriota convinto, con chiarissime simpatie garibaldine.  E, al tempo stesso, un attento osservatore e propugnatore dei progressi della scienza e soprattutto della tecnica che lo affascinano lasciandolo letteralmente a bocca aperta. Ma non sono questi gli aspetti – ancorchè, con buona probabilità i più importanti per delineare la personalità di questo osservatore illetterato quanto acuto ed intellettualmente curioso che ne fa un unicum che merita profondo rispetto e di certo aiuta a capire il pabulum popolare che ha nutrito e sviluppato strati importanti  della popolazione rurale durante la Seconda Guerra d’Indipendenza e i successivi passaggi della riunificazione risorgimentale – sui quali  intendiamo appuntare la nostra  piccola attenzione, attirati come siamo dal suo essere intrinsecamente “pescatore”.

Uomo quanto mai energico e determinato, il nostro Brocai tiene per sé i sentimenti e molto di rado li fa affiorare qua e là: icastica e tranciante la descrizione del 18 settembre 1879 laddove annota che ha “ pagato il sarto per vestito da sposo: per la terza volta vado nel Bartael (il bertavello, cioè la rete che veniva tradizionalmente usata per la cattura delle anguille e delle trote, ndr) come un pesce “. Accadrà il  giorno venti successivo. Forse retaggio dell’antica usanza delle regalie padronali, il 28 dicembre 1876  paga il debito con il medico dott. Menci “ con pesce “. Un’altra piccola notazione  evidenzia l’attenzione, rilevabile facilmente  in altri passi del diario, per gli accadimenti naturali: 20 aprile 1861, “ bisogna notare che nel inverno scorso sono morti tutti i Gamberi (una risorsa alimentare importante n.d.r.) che si trovava nel Mincio, e nel lago di Garda, e –  conclude sconsolatamente  – anche nell’acqua c’è male”.

Numerosissime le citazioni della Pesca Mariota – postazione fissa per la pesca delle anguille, sorta di lavoriero veneto, situata in un isolotto sul Mincio sulla grande ansa a sud della zona detta Paradiso in direzione di Salionze, ultima del territorio di Peschiera  – di cui ricevette le chiavi, in affitto,  il 13 febbraio 1854 a fronte del pagamento di 6 napoleoni d’oro. Fonte di primaria importanza per il sostentamento famigliare, la Pesca Mariota è oggetto di grandi cure e attenzioni  come testimoniano l’acquisto di molti articoli fra i quali pajera, pajarina e pajarona (tele di diverse tessitura che servivano per fare reti),  tele e filo di lino, stoppa di canapa, cavessi (cavicchi in legno per sostenere le reti) e legna grossa che serviva a costruire i passaggi obbligati per il pesce. Per indurli verso il covolo, la rete per la cattura. E ancora, molto importanti, le arelle, pannelli di reti  montati su pali fissi nel fondale che andavano collocati sotto il pelo dell’acqua e. per la fabbricazione delle barche con assi di larice,  incombenza per lo più domestica eccezion fatta  per l’intervento dello scalafajo, l’artigiano che impermeabilizzava lo scafo delle barche con pece e stoppa incatramata.

Il Brocai, che in più occasioni dà dimostrazione di essere un attento osservatore dei fatti naturali  che lo portano ad anticipare scelte tecniche ed agronomiche d’avanguardia, (emblematica , in questo senso, la sua convinta presa d’atto che solo la solforazione delle viti, siamo nel 1861, può sconfiggere l’oidio, malattia fungina che falcidiava i  raccolti dell’uva: “ Bisogna  Solferare, per bever vino “ , scriveva perentorio) , sottolinea con molta enfasi  (anno 1887)  il suo entusiasmo per la neonata tecnica della  fecondazione artificiale delle trote, l’atto fondativo della moderna piscicoltura. Con la sua prosa illetterata, grammaticalmente, sintatticamente ed ortograficamente  scorretta quanto viva ed immediata,  Brocai sottolinea con forza ed altrettanto orgoglio, partendo da un insolito N.B,  quello che il grande letterato bresciano Renzo Bresciani definiva “italiacano” con riguardo al misto di dialetto bresciano ed  italiano in qualche modo bofonchiato dalle classi meno istruite dell’immediato dopoguerra, ma non per questo privo di espressioni di rara vivacità ed immediatezza espressiva.  Scrive il Brocai: “ Più Alla Metà di Dicembre, a Pià del Ponte della strada ferrata, vicino a Peschiera, fù innalzata una Pissicultura per far nascere le trote: io era più di 20 anni cha andava gridando a questa fecondazione artificiale, ora che anno cominciato sono veramente contento, io aveva già avuto le Istruzioni dal cavalier Edoardo Debata di Verona sino dal 1860, e ne esercitai alla mia piccola Pesca mariota. Brocai Giacomo”.  Di tale piscicoltura, distrutta insieme al ponte della ferrovia  durante la II guerra mondiale, resta testimonianza fotografica presso il Museo della Pesca e delle Tradizioni Locali di Peschiera che conserva alcuni reperti di particolare interesse.

A questo punto, inquadrato in qualche misura il personaggio e l’ambito  anche territoriale del suo agire,  ci sembra utile completare  queste note con un approccio il più possibile esaustivo all’ episodio che più di altri ha angustiato il nostro Brocai, episodio che lo coinvolge nella sua duplice valenza di pescatore alle prese con il sempiterno problema di mettere insieme il pranzo con la cena per i suoi numerosi figli e l’altrettanto imperioso desiderio di rendersi utile alla causa della nascente nazione italiana.

Siamo nel luglio del 1859, nel pieno dei bagliori della Seconda Guerra d’Indipendenza. Cerchiamo di riassumerlo con le espressioni – vivide e quant’altre immediate ancorchè illetterate – dell’autore.

2 luglio 1859, “ lascia (è il Brocai  a parlare in prima persona, da protagonista)  il Paradiso e dopo essere statto alla Pesca a levar le reti, presi con mè 5 Anguile, e poi andai nel Campo dei Piemontesi (che desiderava ardentemente vittoriosi, ndr), diedi una Anguila al generale che alloggiava alla Ca’ Malavicina, e le altre ai ufficiali, ma mi costò fattica a ritornar a casa, perché non volevano più lasciarmi uscire dal campo, per paura che fossi un delatore”.

Pochi giorni dopo, il fatidico 10 luglio segnato dalla violenza e dall’ingordigia dei soldati francesi: “ Alle 5 Pomeridiane tornava a casa al paradiso con la Barca, e trovai la Pesca (la sua Pesca Mariota, ndr) piena zeppa di francesi, che mi portarono via le Anguille; corsi col Battello, ma essi mi minacciavano, io corsi a Salionze, mi presentai al Generale, ottenni una pattuglia, ma questa non volendo sortire dei avamposti, mi abbandonarono: tornai dal Generale, mi presentai a un Maggiore italiano, e questo mi a detto: è notte, sono tutti incampo, andate avedere cosa anno fatto e domani venite a riportare. Andai, cercai i miei 50 fiorini nascosti una l’anterna cieca sotto il paciugo (il fango, ndr), che non li anno trovati, palpai nella turba e k’era da 100 Anguille “.

Ndr: la turba era  un cassone in legno con fori per il passaggio dell’acqua che veniva utilizzato per mantenere vivo il pescato.

Quanto mai volitivo, il Brocai “ voleva francare (afferrare, prendere possesso, ndr) le rette Covolo che era messa in acqua, ma una sentinella minvitava a Partire, ma io rispondeva essere mia Meson (casa, ndr), ma il compagno che aveva meco aveva paura, e doveti partire con solo i miei 50 fiorini: pernotai alla scarpina, ma non chiusi occhio la mattina tornai a Salionze, dovetti fare istanza, la scrissi in Casa de l’arciprete, la presentai allo Stato Maggiore, poi al Comandante la giandarmeria, siamo andati sul luogo, ma oramai mi avevano portato via tutto, tutte le Anguile, 700 e più, tutte le arte (attrezzi, ndr) di falegname che aveva poste nel Casino, tutte le retti a Casa, mi avevano portato via 15 sciami dapi, che valeva 15 marenghi, insomma mi anno recato und’anno i francesi di due milla lire e più” Malgrado i suoi sforzi reiterati gli riuscì solo di recuperare, per mano del principe Gerolamo Napoleone  l’indennizzo di sole  due monete da venti franchi. Troppo poco:  mai dimenticò e perdonò l’affronto. Neppure nel 1870 quando “ L’Imperator Napoleone prigioniero diede la spada a Gulielmo ( il riferimento è alla battaglia di Sedan, risolutiva per la guerra  franco prussiana, ndr). Addesso – annota impietoso – li avete dato dentro il Naso oh francesi, se l’aleman ne è buono di far la gher (la guerra, ndr), come avete detto a me a quando nel 59 mi avete rubato le anguille, più di 700, e 15 siami di Api, che mi avete recato un danno più che di due milla lire. (e con non poca perfidia chiosa, ndr) Né par bon l’Aleman di far la Gher “ (l’Alemann.-tedesco sembra proprio capace di fare la guerra , ndr)

Ma per il Nostro le disgrazie non sono ancora finite. ” La Mattina del 25, sempre 1859, i soldati Reduci dalla Battaglia (di San Martino e Solferino, ndr), quelli passati sotto il Ponte della strada ferrata, anno piantato il campo nella Valle, e nei campi del Molino Ottela, la van guarda sulla Pontara del Mulino verso il Paradiso, affamati, li diede pane e anguille, caffè e acquavite che aveva comprata il giorno avanti, ma più tardi, volendomi sbarassare dei medesimi, dovendomi andare a levar la rette alla pesca. Li manda via dicendo di non aver altro; chiusi la porta e andai alla Pesca, dove trovai fattica a desliberare 150 anguile dentro al covolo, che dovetti andar al Copo a chiamar ajuto, che venne con me Loro Giacomo. Piansi quando sono tornato a casa – una scena da quadro picaresco torbido e trucido – era piena di tedeschi affamati, in cinquanta maniere facevano polenta, stagno, pignate, scodelle, piccolle e grande, padele, padelini, con farina giala, con bianca, con semola, tutto era buono per lori: io vidi che se anche lacqua non boliva, si facceva una pasta, e si mangiava, tanta era la fame che li regnava nelle coste; mi portarono via tutto, ninsuoli (lenzuola, ndr), forete (federe,ndr), tutto il vivere che mi avevo riserbato, almeno per 300 fiorini, ossia 900 lire, non salvai che la capra, tolendola di mano ad un soldato che la conduceva  via”.

Alla fine il tempo in qualche modo e misura tutto aggiust.a.  Ritorna, sempre inconsueto, il N.B.:  “ il 17 di marzo scorso (anno 1891, ndr) è Morto a Roma il Principe Girolamo Napoleone, quello che comandava il quinto corpo d’armata nel 59 e che a dato, a me Brocai G.   Finalmente due pezzi in oro da 20 franchi l’uno perché mi presentai e li dissi che i suoi soldati mi anno Mangiato 700 anguille, che io o preso durante il Bloco, alla Pesca Mariota “.Alla fin fine anche le famose settecento anguille “risorgimentali” sottratte al  Brocai  possono, ora, finalmente, riposare in pace.

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