I prati e i pascoli di alta montagna vanno protetti e mantenuti in efficienza: si deve a loro, infatti, la sopravvivenza dell’allevamento sia bovino che ovicaprino. Un aiuto, dal chiaro significato simbolico, può venire anche dalla valorizzazione del tradizionale “Fieno”, liquore ottenuto dalla infusione di fieno propriamente detto in alcol. Pratica, questa, significativamente diffusa in Trentino e in Alto Adige dove la cosiddetta “cultura del fieno” è ancora presente e attiva.

Ancora oggi alle porte di un qualsivoglia borgo montano dove le tradizioni agresti non si sono spente del tutto “c’è chi balla, c’è chi suona, / c’è chi falcia l’erba buona. / “Morettina che stai nel fieno, / e d’acqua fresca hai l’orcio pieno, / dammi da bere, e da mangiare, / chè nessuno mi vuole aiutare. / Sono un povero vagabondo, / per borghi e ville vado a zonzo. / A tutti chiedo la carità / ma nessuno un soldo mi dà”. / “Ecco l’acqua, ecco il pane: / e se hai fame, torna domani: / ti darò del latte di mucca, / del formaggio, e una fetta di zucca”. /”Tornerò domani mattina, / o mia dolce morettina”.

“Morettina che stai nel fieno”, filastrocca ripresa dalla penna amorosa e attenta di Nico Orengo, nella sua semplice ingenuità ci immerge letteralmente nella fienagione, cioè la raccolta dell’erba appassita dal sole estivo (per l’appunto il fieno) che, soprattutto nelle terre alte di montagna, ancora oggi è qualcosa di più della semplice raccolta del “prodotto erba, poi fieno” da portare nella greppia per alimentare il bestiame, essendo un insieme di profumi e di essenze che portano con sè gli umori della terra e dell’ambiente che li ha generati e nutriti. Ed è anche una festa che ripaga le fatiche della segagione e del trasporto spesso ancora oggi manuale del fieno nei sacchi e nei teli caricati sulle spalle.
Forse non a caso, in questi pochi versi sono citate diverse parole importanti e per così dire toccabili con mano: l'”erba buona” (concetto fondamentale), “fieno”, “orcio” (a significare il recipiente che contiene l’acqua da bere), “pane” (il cibo per definizione), “latte di mucca” e “formaggio” (l’oro dei pascoli montani), “zucca” (nella fattispecie intesa quale prodotto dell’orto).

Questa premessa un poco insolita, ma non banale, m sembra utile per sottolineare un aspetto che personalmente mi sta molto a cuore: la salvaguardia e la valorizzazione dei pascoli alpini. Rappresentano infatti una autentica ricchezza produttiva (l’allevamento tanto dei bovini che degli ovi-caprini) indispensabile per l’economia agro-forestale, un ambiente di biodiversità animale e vegetale che fa la differenza quando si compenetrano con i boschi e un elemento paesaggistico fondamentale anche quale attrattiva turistica. Sforziamoci quindi di proteggere e valorizzare – anche economicamente – il lavoro dei pastori, dei mandriani e dei casari di montagna affinchè questi ambienti che si reggono su equilibri già di per se stessi difficili riescano a sopportare l’urto devastante dell’aumento delle temperature.

Un modo, fra molti altri, di suo particolarmente accattivante e di immediata comprensione, di illustrare e propagandare la bontà dei sapori e dei saperi dei pascoli alpini è – del tutto tradizionale ad esempio in Trentino e nel confinante Alto Adige – quella che possiamo definire la locale “cultura del fieno”. Che non viene usato solo a scopo zootecnico ma anche, con considerevoli ricadute economiche, per la preparazione dei cosiddetti “bagni di fieno” cui persone particolarmente stressate o affette da malanni muscolari e/o ossei si sottopongono, a scopo chiaramente olistico, in strutture dedicate a volte anche molto belle e ricercate, a bagni (a secco) terapeutici. Più prosaicamente, ma con godibilità assicurata praticamente ovunque, la lunghissima tradizione alchemico/distillatoria delle Alpi offre, figlio diretto e non mediato dei prati-pascoli, il “Fieno” cioè l’infuso in alcool (o grappa) di fieno vero e proprio. Talquale, direbbero i tecnici. E’ una tradizione che continua sia in Trentino che in Alto Adige coinvolgendo, accanto a piccole realtà locali, anche altre molto strutturate e conosciute. Per parte nostra, pur volendo rendere omaggio all’intera tradizione erboristica e distillatoria di queste zone, ci limitiamo a segnalare una piccola grande chicca: il liquore “Fieno” prodotto dalla distilleria Marzadro di Nogaredo. Si tratta di un infuso in alcol di fieno – dichiarazione dell’azienda – sfalciato a 2.000 metri d’altezza ad Ortisei (in Val Gardena), leggermente essiccato all’aria di montagna, naturalmente profumato e ricco di varietà botaniche. Il liquore, gradazione di 40 gradi, si connota per struttura delicata e naturalmente aromatica. E’confezionato in bottiglie sul rustico-elegante da 70,50 e 20 ml. Ha vinto la Medaglia d’oro al Warsaw Spirits Competition.
Nella categoria Infusi di Casa Marzadro, contrassegnati da una linea grafica coerente e definita, nel gruppo “Erbe infuse in grappa”, non mancano i classici: Asperula, Cumino, Genziana, Ruta, Ginepro, Mugo, Selvana (miscellanea di erbe diverse) e la non comunissima Ortica che portano nel bicchierino profumi e sapori che “sanno” e “fanno” proprio montagna.

La distilleria Marzadro -fondata nel 1949 a Nogaredo, molto vicino alle ultime propaggini submediterranee dell’Alto Garda Bresciano e porta d’entrata nella trentina Vallelagarina, ormai gestita dalla terza generazione di famiglia – costituisce una realtà produttiva di prima grandezza sia per quantità che per qualità. Ha infatti saputo sganciarsi dagli stereotipi dell’artigianato autoreferenziale senza però cadere nella appiattimento ripetitivo dell’industria. E i risultati lo testimoniano.

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