Nel giugno 2017 un’importante ricerca scientifica è stata pubblicata dalla prestigiosa rivista Nature Genetics (gruppo Nature, Regno Unito): un team di 25 ricercatori di FEM, INRA di Angers (Francia), Università di Wageningen (Olanda) e Max Planck Institut di Tubinga (Germania) ha risequenziato 64 genomi di melo attualmente coltivati in Europa, rappresentativi della variabilità del germoplasma del melo del nostro continente e ha messo in luce le parti del genoma responsabili dello sviluppo del frutto.

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La ricerca, realizzata grazie a tecnologie molecolari di ultimissima generazione da un gruppo di ricercatori francesi, italiani, olandesi, tedeschi e sudafricani, consentirà al mondo scientifico di ottenere maggiori informazioni sui cromosomi del melo, perfezionare e velocizzare le attività di miglioramento genetico mirato ad ottenere varietà migliorative rispetto a quelle attualmente coltivate.

L’importante lavoro rappresenta, sottolineano gli esperti, la base su cui si fonderanno tutti gli studi futuri sullo sviluppo del frutto-mela.

Nature Genetics, la prestigiosa rivista scientifica che nel 2010 dedicò la copertina al sequenziamento del genoma melo da parte di Fondazione Mach (oggi FEM), ha per la seconda volta convogliato l’interesse della comunità scientifica internazionale sull’istituto trentino. “Il prestigioso risultato è stato bissato con questa collaborazione che – spiega Riccardo Velasco, responsabile del Dipartimento di Genomica e biologia delle piante da frutto FEM e co-firmatario dell’articolo – oltre ad aver prodotto numerose pubblicazioni sulla variabilità esistente nel panorama del melo europeo ed aver prodotto oltre 20 mappe genetiche utilizzate anche in questa pubblicazione, ha messo le basi per il sequenziamento di un melo dal genoma “sintetico”, originato dalla varietà Golden delicious”.

Questo melo artificiale è stato ottenuto in Francia (INRA, Angers) negli anni Settanta del secolo scorso dal professor Yves Lespinasse. Il sequenziamento e l’assemblaggio di questo genoma artificiale, oggetto della pubblicazione scientifica, ha migliorato ulteriormente la ricostruzione dei cromosomi rispetto a 7 anni fa.

Fondamentale in questa ricerca- sottolineano a San Michele all’Adige – è stata la preparazione e l’esperienza che la ricercatrice Michela Troggio e il team degli altri ricercatori FEM Luca Bianco, Diego Micheletti e Gareth Linsmith, hanno messo a disposizione del progetto, portando prossima alla perfezione la lettura del corredo cromosomico di questo melo artificiale. La sua origine dalla Golden Delicious e le dimensioni del suo genoma, 50 milioni di nucleotidi in meno del melo coltivato, hanno facilitato il lavoro dei ricercatori alla fine giunto al raggiungimento del risultato riconosciuto dalla prestigiosa rivista.

Dall’articolo emergono interessantissimi dati sulle regioni del genoma che giocano un ruolo fondamentale nello sviluppo del frutto.

Un altro aspetto interessante, e per certi aspetti curioso, è dato dalla comparazione con il DNA del pero, dal quale si è scoperto che risale a 25 milioni di anni fa la separazione filogenetica tra le due piante. Ma questa è solo una piccola curiosità di un imponente lavoro che avrà forte ripercussioni sul miglioramento genetico per ottenere, ad esempio, varietà di maggior qualità, ma che al contempo richiedano un minor uso di antiparassitari.

Presentate al mondo produttivo le nuove tecniche di miglioramento genetico

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La Fondazione Edmund Mach ha in questi giorni presentato ai rappresentanti del mondo frutticolo e delle organizzazioni sindacali le attività dell’ente svolte nel settore delle nuove tecniche di miglioramento genetico applicate al melo. Tecniche che, in attesa in un chiarimento normativo a livello europeo, hanno l’obiettivo di ottenere varietà resistenti alle malattie riducendo l’input chimico in campagna nell’ottica di una agricoltura sostenibile.

Focus dell’incontro è stata la possibile applicazione delle nuove biotecnologie al settore melo, le attività in corso a San Michele, lo stato dell’arte sugli aspetti della proprietà intellettuale e la regolamentazione di queste nuove tecniche. Con lo scopo dichiarato di ricevere ulteriori indicazioni operative dal mondo produttivo, che ha accolto con interesse la presentazione delle attività.

All’incontro sono intervenuti il direttore generale, Sergio Menapace, il coordinatore del Dipartimento genomica e biologia delle piante da frutto, Claudio Moser, il responsabile dell’Unità Genomica e Biologia Avanzata, Mickael Malnoy, e l’avvocato Arturo Pironti, legale di FEM, esperto in proprietà intellettuale.

“Il nostro lavoro sull’agricoltura sostenibile, e quindi anche quello sulle nuove tecnologie di miglioramento genetico – ha sottolineato il presidente FEM, Andrea Segrè, è legato alla nostra visione One Health, che vede la salute dell’uomo fortemente interconnessa con quella degli ecosistemi. In un ambiente dall’agricoltura fortemente antropizzata come il Trentino, infatti, la possibilità di avere piante che si difendono da sole sarebbe un enorme passo avanti. A San Michele ci focalizzeremo sulle varietà migliorate per la resistenza alle patologie fungine e, allo stesso tempo, sul metodo di tracciabilità delle stesse biotecnologie. In altre parole, nel medio periodo puntiamo a diventare anche un centro di competenza in grado di verificare se i prodotti vegetali abbiano subito manipolazioni o meno”.

“La Fondazione Edmund Mach si è posta da subito come un centro all’avanguardia in questo nuovo settore di ricerca – ha spiegato il direttore generale, Sergio Menapace – facendo tesoro degli investimenti e dei risultati delle attività di sequenziamento dei genomi, e nel corso dei prossimi anni si potrà raccogliere i primi frutti sia nel settore vite che melo. E’ importante sottolineare che i tempi sono di medio-lungo periodo, nell’ordine dei dieci anni, per ottenere varietà migliorate in termini di resistenza ai patogeni o in termini di caratteristiche nutrizionali – qualitative”.

Negli ultimi tempi a latere del miglioramento genetico convenzionale basato su incrocio e selezione o mutagenesi fisica e chimica, sono state sviluppate nuove tecnologie di miglioramento genetico delle piante (New Breeding Techniques – NBT) che permettono di accelerare e potenziare la costituzione di nuove varietà tramite una mutagenesi biologica.

Le NBT, inizialmente adottate nel settore medico, permettono di produrre modificazioni genetiche molto simili a quelle ottenute con le metodiche più tradizionali, ma con maggiore precisione e specificità, una sorta di “terapia genica” della pianta. Fra le NBT le più rilevanti per diffusione ed impatto sono il Genome Editing (noto anche come CRISPR/Cas) e la Cisgenesi. La cisgenesi è una tecnica simile alla transgenesi, ma meno impattante perché lascia minime tracce del processo biotecnologico, e prevede l’inserimento nella pianta di un gene della stessa specie o sessualmente compatibile, ad es. di un melo selvatico che può essere incrociato con un melo domestico. Il CRISPR/Cas è una tecnica che permette di modificare specificatamente la sequenza del DNA della pianta, anche senza introdurre DNA estraneo nel genoma, rendendo ad esempio la pianta capace di riconoscere un determinato patogeno.

Alla FEM si sta cercando di ottenere piante cis-geniche che portano geni per la resistenza a ticchiolatura e colpo di fuoco batterico e piante resistenti all’oidio con l’approccio di genome editing. Le nuove NBT non sostituiscono ma completano l’attività di miglioramento genetico basato su incrocio e selezione, che rimarrà essenziale per creare varietà di melo con caratteristiche innovative. L’obiettivo finale di queste ricerche è di ottenere varietà resistenti alle malattie riducendo l’input chimico in campagna nell’ottica di una agricoltura sostenibile.

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