by Castalia

Tecnologia impegno e organizzazione industriale tutta italiana per impedire alle plastiche di raggiungere il mare.
Se i risultati saranno positivi si potrà intervenire su altri fiumi nazionali ed esportare un know-how importante ed appetibile

Se Donatella Bianchi, ottima conduttrice di Linea Blu di RAI1 identifica la sua trasmissione – oggi per il vero un poco bolsa – con l’iconico slogan “Un mare da a-mare”, anche il fiume Po da qualche mese ha il suo “Il Po d’AMare”: un piccolo gioco di parole che un creativo di turno ha immaginato per identificare l’omonimo progetto. Un progetto molto importante, innovativo e molto semplice nelle intenzioni: impedire alla famigerata plastica di arrivare nel mare Adriatico, e prima ancora nel Delta. Un progetto semplice nelle intenzioni quanto difficile e complicato da gestire: “catturare” la plastica galleggiante trasportata dal fiume raccoglierla in loco e poi, per quanto possibile, riciclarla o smaltirla a seconda dei casi e delle necessità.

In questa prima fase, da circa un paio di mesi nella strettoia fluviale di Pontelagoscuro e fino ad ottobre, comune di Ferrara a 40 km dal Delta, è stato installato – fra i primi al mondo – un cantiere sperimentale per raccogliere, e valutarne i volumi e le caratteristiche tecniche, i rifiuti plastici galleggianti che il Po trascina a pelo d’acqua: sublimazione, questi rifiuti, della maleducazione della sciatteria e anche di eventi diciamo “sfortunati di un bacino d’utenza di 20 milioni di abitanti suddivisi in 4 regioni e 13 province. Il progetto, fortemente e congiuntamente voluto da Castalia (un grosso consorzio di armatori specializzato nelle operazioni di disinquinamento del mare, soprattutto da petrolio, a mezzo di barriere galleggianti), da Corepla (Consorzio Nazionale Raccolta Riciclo e Recupero degli imballaggi in plastica), dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile coordinati, per la parte pubblica, dall’Autorità di Bacino Distrettuale del Fiume PO.

Dopo le prove iniziali nei fiumi Sarno in Campania e Tevere a Roma, questo è il primo esperimento vero e proprio incentrato sulla messa in acqua di dispositivi di raccolta formati da barriere composte da lunghi tubi gonfiabili studiate per galleggiare alla giusta altezza per consentire al tempo stesso l’intercettamento dei rifiuti che il passaggio delle ramaglie e dei tronchi di legno molto frequenti. Un problema, questo del legname, che sta impegnando a fondo i tecnici che si dicono soddisfatti dei primi risultati della raccolta del “plasticame”.

Per tornare al cantiere, gli sbarramenti formano una diga (o più dighe a seconda delle esigenze) a forma di imbuto che intercettano e intrappolano i rifiuti (non solo plastici) che vengono portati a riva a mezzo di piccole barche (“Sea hunter”) predisposte per la bisogna. Esperienze simili a questa sono allo studio in Danimarca, Francia e Olanda.Uno degli scopi primari della prova in corso è di contare e classificare i rifiuti plastici per poterne valutare il successivo utilizzo (recupero a scopo produttivo, energetico o conferimento in discarica) operazione effettuata nel Centro di Selezione D.R.V. di Legnago (VR) gestito da Corepla, un impianto molto performante “capace di suddividere, mediante una rete di lettori ottici, gli imballaggi in plastica delle diverse frazioni polimeriche per l’avvio al riciclo o al recupero energetico”. Alla fin fine dati attendibili – i primi risultati saranno resi noti verso la fine di ottobre – dovranno indicare i quantitativi di rifiuti recuperabili dal fiume e le peculiarità dei materiali di cui sono composti per poter predisporre un business plan che abbia significato economico. E a proposito di dati economici va sottolineato che i costi di questo progetto pilota sono sostenuti interamente da Castalia e Corepla molto interessati ad utilizzare questa metodologia in diversi fiumi italiani e – business di certo importante – all’estero. Bisogna infatti considerare che studi molto attendibili imputano soprattutto ai grandi fiumi, quelli asiatici in primis, la responsabilità dell’80% del trasporto in mare dei rifiuti plastici.

Captarli prima sarebbe importantissimo perché nel mare è quasi impossibile farlo e, aspetto altrettanto e forse ancora più dirimente, le plastiche a contatto del sale marino si degradano e si spaccano in frammenti sempre più piccoli (il marine litter ormai ben noto, sono quanto meno difficili da trattare e la combustione, a causa dello sviluppo di composti pericolosi, non sempre è possibile.

Video della sperimentazione in corso:
https://youtu.be/XTaxJ60Q8lw

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