E’ proprio necessario che i cani facciano l’aperitivo bevendo una “birra” prodotta solo per loro? Ci sembra lecita una qualche perplessità

In queste ultime settimane il ministero della Salute si è fatto promotore della campagna “Code di casa” per valorizzare e pubblicizzare il possesso “responsabile” degli animali d’affezione, in particolare dei cani e dei gatti. Del resto i numeri delle popolazioni canina e felina sono imponenti ed è cosa nota a tutti. I cani, da sempre antesignani di tutti gli animali che gli esperti più avvertiti definiscono sinantropi (cioè che dividono con l’uomo spazi comuni) ormai costituiscono una presenza costante, importante e a volte anche eccessiva del panorama cittadino. il professor Giovanni Ballarini, figura prestigiosa della medicina veterinaria e non solo, lo scorso maggio in uno scritto pubblicato dal notiziario “Georgofili Info” dell’Accademia dei Georgofili ha ricordato che i cani possono essere fra altro responsabili – soprattutto in contesti urbani – di inquinamento acustico e fecale. Abbai prolungati e feci disseminate a gogò costituiscono infatti motivo per interminabili (e spesso pericolose) liti condominiali per non dire di cause giudiziarie vere e proprie. La presenza e la compagnia dei cani – “Il mestiere dei cani è l’amore”, dal titolo di un suo libro purtroppo dimenticato quanto ricco di sentimenti, del giornalista e scrittore Enzo Grazzini – aiuta a contrastare – sono parole di Giovanni Ballarini – ” la devitalizzazione degli ambienti di vita umana collegata alla intensa urbanizzazione e la solitudine di famiglie di sempre più ridotte dimensioni e spesso costituite da un solo anziano”. Se tutto ciò è vero è altrettanto vero che sono troppi i proprietari che “usano” ed esibiscono i loro cani come giocattoli o oggetti da collezione. Così non va: i cani, sempre e comunque animali, sono esseri senzienti e come tali vanno trattati rispettandone l’indole e la natura. Ovviamente molte, troppe volte, succede l’esatto contrario.

Intorno al complesso mondo dei pet ruotano ovviamente interessi economici molto consistenti. Anche con storture piuttosto evidenti. Una delle quali, a parere di chi scrive, è relativa alla recente messa in vendita della cosiddetta “birra” per cani Pawse. Nella realtà si tratta di una bibita analcolica – sia le bibite che le birre meritano rispetto, ma sono tipologie di prodotto ben diverse – che da qualche parte sta scritto essere a base di acqua pastorizzata, fruttosio, miele e un po’ di sale. A prescindere da questi aspetti, la birra “Pawse” – un gioco di parole, ovviamente in salsa inglese, tra “pav” (zampa) e “pause” (pausa) – è stata realizzata da Alessandro Marcucci titolare di Fidovet azienda marchigiana di alimenti per pet e commercializzata dalla ditta trevigiana, attiva su scala nazionale, Da Pian 1904. Lo spritz canino è confezionato in lattine di alluminio da 33 centilitri con tanto di immagine ad hoc che sono distribuite a bar e ristoranti. Se avrà successo forse un giorno ci saranno anche le ciotole, speriamo riciclabili, per il cin cin di rito con tanto di marchio. Del resto è risaputo che l’alluminio, in questo momento carissimo e di non facile reperibilità sul mercato, ha mille vite. Sottolineato che le due realtà imprenditoriali citate “sprizzano” una gran voglia di fare, ciò che stupisce è l’obiettivo dichiarato – ovviamente allo scopo di sostenere le vendite della cosiddetta birra – di indurre padroni e cani a fare l’aperitivo insieme: con flute, bicchiere o ciotola, poco importa. L’importante è consumare! Un punto di vista e un ragionamente – assolutamente legittimi, sia ben chiaro, ma datati e per così dire pre-pandemici – che non tiene conto che il pianeta sta bruciando e sprofondando. Deciderà il mercato, certo, lo sappiamo anche noi, ma il rischio è che venga declinato con la “K”: sarebbe un ulteriore reiterato piccolo sfregio alla Terra casa comune.

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