da La Stampa

Si tratta di un innovativo progetto di “Blue Biotechnology” che a lungo termine punta alla decontaminazione naturale dei fondali inquinati da metalli pesanti. Si fa ricorso, oltre al “trasloco” interno” di colonie di cozze, alla loro mappatura anche a mezzo di microchip. Le ricerche e le sperimentazioni, d’avanguardia e di livello internazionale, fanno capo alla dottoressa Nicoletta Riccardi del CNR IRSA di Verbania, mater et magistra dell’iniziativa. >

Anche tra gli animali, a livello se così si può dire “mediatico” cioè di conoscenza da parte del grosso pubblico, vi sono le star e i dimenticati e fra questi possiamo ascrivere i molluschi. E fra questi le cozze, le bivalvi marine che tanto piacciono un po’ a tutti e le consorelle d’acqua dolce quasi sconosciute ai più. Nel linguaggio soprattutto giovanile, il termine “cozza” sta a significare persona e, soprattutto, donna brutta. Forse le cozze sono brutte ma, a prescindere dagli aspetti lessicali, di certo vantano capacità e peculiarità comportamentali veramente importanti, non facili da immaginare per chi non sia del mestiere.

Per introdurre con una qualche cognizione di causa l’argomento -le bivalvi di acqua dolce o cozze – giova ricordare che vivono nascoste nei fondali dei laghi e dei fiumi influenzando grandemente la qualità delle acque. Sono, infatti, filtri naturali molto importanti ed attivi che nutrendosi di alghe, plancton e limo aiutano a purificare il sistema acquatico. Concetto base, questo come gli altri che seguiranno, che riprendiamo dalle osservazioni di una riconosciuta esperta della materia, la dottoressa Nicoletta Riccardi del CNR IRSA (Istituto di Ricerca sulle Acque) di Verbania (è la nuova definizione; solo di pochi giorni fa il cambio di denominazione dell’ex Istituto per lo Studio degli Ecosistemi di Verbania) che allo studio di questi molluschi si dedica dagli anni Ottanta. Sono fonte di cibo per molte specie, uccelli acquatici in primis ed alcuni pesci. Per le loro caratteristiche sono utilizzate quali bioindicatori in quanto “la presenza di popolazioni abbondanti e riproduttive indica un sistema idrico sano e come filtratori e accumulatori di molte sostanze (anche tossiche) svolgono un ruolo simile a quello di piccoli impianti di depurazione naturale dell’acqua”. Per la loro elevata sensibilità alle alterazioni dell’habitat e ai diversi tipi di inquinamento sono utilizzate ” anche come specie per la determinazione e l’aggiornamento delle soglie in materia di legislazione sugli scarichi inquinanti”.

Lo stato di salute delle bivalvi d’acqua dolce – al momento, su scala mondiale, risulta il gruppo faunistico a maggior rischio d’estinzione a causa della pressione antropica in generale, dell’inquinamento e del cambiamento climatico – è motivo di grande preoccupazione per gli esperti ma purtroppo, trattandosi di esseri nascosti brutti e scontrosi che non si vedono se non li cerchi apposta, la percezione dei pericoli associati alla loro possibile scomparsa non è ancora percepita come dovrebbe neppure negli ambienti scientifici. Un grosso guaio, questo, perché le funzioni biologiche assolte da questi molluschi sono importanti, molto più importanti di quanto supponiamo. Semplicemente fondamentali per la salubrità delle acque. Spaventa apprendere che gli studiosi hanno stimato una rata di estinzione, dell’1,2% per decade, definita molto elevata e che il 69% delle specie di acqua dolce rientra quindi nelle categoria “estinto o a rischio di estinzione”.

Prima di addentrarci nelle peculiarità di questi esseri tanto importanti quanto misconosciuti, un cenno, fosse solo per rivalutarne con poche righe l’importanza economica e antropologica che hanno rivestito nel tempo, rammentiamo il ruolo importante assolto nella storia culturale dei popoli primitivi sia nel nostro Continente europeo che in quello americano. Utilizzate come cibo le cosiddette “parti molli”, i gusci spesso sono stati trasformati in ornamenti, strumenti vari ed anche usati come merce di scambio. Emblematici, in questo senso, i cumuli di conchiglie che i nativi americani hanno lasciato sul terreno e che si estendono “per miglia lungo il Mississippi e il grande fiume Ohio”. Anche in siti preistorici europei è stato documentato l’uso diffuso di conchiglie di Unionidi (cozze d’acqua dolce) a scopo ornamentale addirittura sotto forma di parures; senza dimenticare i bottoni rinvenuti in tombe dell’Età del Rame e del Bronzo. In tempi a noi contemporanei, i gusci sono stati usati per la fabbricazione di bottoni ed ancora oggi, sorta di legge del contrappasso, dalle brutte cozze d’acqua dolce allevate in diversi Paesi dell’Asia si traggono le cosiddette perle di fiume ben diffuse anche qui da noi.

Veniamo ora, sempre per cenni, alla complessa biologia di questi esseri che “hanno un ciclo vitale che le rende estremamente dipendenti non solo dalle caratteristiche dell’habitat ma anche dalla struttura della comunità biologica che vive in quel dato ecosistema. … Il ciclo riproduttivo comprende uno stadio larvale parassita che necessita di un pesce ospite per completare lo sviluppo. Quindi la sopravvivenza delle cozze dipende dalla presenza di popolazioni ittiche sane e abbondanti. .. E lo studio della loro storia naturale e delle loro esigenze di habitat fornisce informazioni chiave sulla interconnessione degli ecosistemi idrici e terrestri e sulle capacità e modalità di adattamento delle specie all’ecosistema e alle sue variazioni”.

Si è già accennato alla notevolissima capacità di filtrazione delle cozze. La Unio elogantulus (comune in Italia) filtra in media 40 litri di acqua al giorno. Con la presenza media di 40′-50 individui per metro quadro (sono dati accertati nel Lago Maggiore prima che subentrassero le specie invasive), si può calcolare che ” 1 metro cubo di sedimento colonizzato dalle cozze garantisce la filtrazione di circa 2 metri cubi d’acqua la giorno”. Per dirla molto alla buona, un bell’andare e quanto costerebbe filtrare con metodi artificiali la stessa quantità? Non sappiamo rispondere, ma di certo non poco. Altra peculiarità di questi molluschi è la loro capacità di accumulare “metalli e contaminanti organici che assumono dall’acqua per filtrazione e dal sedimento”. Accumulo che avviene sia nei tessuti molli che nella conchiglia “che quindi può essere usata anche come di contaminazioni passate. .. Recenti studi confermano che sono accumulatori – le conchiglie ndr – più efficienti dei substrati artificiali passivi utilizzati nel biomonitoraggio dei metalli. … Esistono evidenze di un possibile utilizzo delle conchiglie vuote come materiali bioassorbenti, ad esempio dei metalli in acque piovane. … Uno dei primi esempi di applicazione delle cozze d’acqua dolce come indicatori di accumulo ci riporta al lago Maggiore e agli esperimenti nucleari degli anni ’60. La misura dell’accumulo di isotopi da fall-out in Unio (la cozza di cui prima ndr)permetteva di tracciare le ricadute al suolo di isotopi derivati dagli esperimenti nucleari realizzati nel Pacifico”. I risultati scientifici allora conseguiti ebbero vasta risonanza e il riconoscimento della prestigiosa rivista “Nature”. In molti Paesi le bivalve, sia d’acqua dolce che salata, sono regolarmente utilizzate per la sorveglianza ambientale. Dal 1986 tutte le aree costiere e i Grandi Laghi del Nord America sono sorvegliati, nell’ambito del programma “Mussel Watch”, mediante l’uso delle cozze per rilevare più di 150 inquinanti inorganici (esempio classico i metalli pesanti) ed organici (DDT, pesticidi) e batteri.

A questo punto alcune considerazione sulle specie invasive che, more solito, in questi ultimi anni si sono propagate un poco ovunque con grande velocità. Il che è fonte di grossa preoccupazione per gli esperti. L’equilibrio ecologico di laghi e fiumi, che un tempo pullulavano di cozze per così dire indigene, ne sta già risentendo ma il peggio probabilmente deve ancora arrivare e l’unica certezza attualmente è l’incertezza. Resta il fatto che le specie native, che si riproducono e accrescono molto più lentamente di quelle invasive, sono in netto calo. Nel Lago Maggiore, dopo l’insediamento di Corbicula fluminea (la vongola cinese, vera e propria specie aliena invasiva) e di Sinanodonta (altra specie aliena d’origine cinese) è stata registrata una riduzione della densità delle popolazioni native del 70-90%. Del resto la Corbicula e la Sinandonta si riproducono più volte l’anno, la nostra Unio, se tutto va bene, una volta all’anno. Di qui fenomeni di colonizzazione di massa da parte della Corbicula che può raggiungere densità molto elevate, anche di migliaia di individui per metro quadro. Ingente di conseguenza l’accumulo sul fondo di grandi quantità di conchiglie con possibile importante, e negativa, riduzione del fitoplancton (alghe planctoniche).La filtrazione operata da Corbicula incide sugli equilibri che regolano la presenza della flora nel lago favorendo spesso la proliferazione di alghe filamentose che non sono filtrate dal mollusco. Va inoltre ricordato che le specie native hanno una vita piuttosto lunga (20 anni e anche di più) mentre le specie invasive, come lo Corticula e la Dreissena (la cozza zebrata, essa pure aliena ed invasiva) vivono in media 3 anni e al massimo 5. Ergo le specie invasive dopo tre anni, alla loro morte, rilasciano gran parte di quello che hanno accumulato e questo rappresenta un problema se si verifica in siti inquinati come nel caso del lago d’Orta. E, ancora, sempre le specie native sono più efficienti nella depurazione dai batteri, ad esempio di quelli fecali. Nel lago Maggiore, prima del 2007, il volume totale di acqua filtrata da bivalvi presenti in 1 metro quadro di fondale era di 2 metri cubi, attualmente, con la “presenza cinese” il quntitativo di acqua filtrata è salito a 55 metri cubi. “Possiamo veramente dire – si chiede la nostra esperta – che la sostituzione della nativa Unio da parte di Corbicula non avrà effetti sul resto dell’ecosistema?”. Purtroppo mancano certezze ed esperienze, ma i rischi sono presenti. Concludiamo queste note quanto meno grigie se non tendenti al nero, sottolineando che la più volta citata Unio elongatulus (specie nativa tipica delle acque italiane) è in fase di netto declino mentre la Microcondylaea bonellii (essa pure specie nativa italiana) è ormai prossima alla estinzione

IL CASO EMBLEMATICO DEL LAGO D’ORTA: DOPO IL DISASTRO DEGLI SVERSAMENTI INDUSTRIALI E IL SUCCESSO DELLE ACQUE RISANATE, RESTANO I FONDALI DA RIPULIRE.
IL CNR IRSA DI VERBANIA SI E’ ATTIVATO CON UN PROGETTO INNOVATIVO MAI TENTATO PRIMA CON LE COZZE DI CASA CHIAMATE A “MANGIARE” I METALLI PESANTI DEI FONDALI

da: mosaico-onlus.it

L’iconico lago d’Orta o Cusio, un lago prealpino di fascino a 290 metri di altitudine, si estende tra le province di Novara e del Verbano-Cusio-Ossola. Presenta la rara caratteristica di essere privo di immissari: le sue acque provengono infatti tutte da fonti sorgive. Si estende per 18,2 Km quadrati di superficie; lo sviluppo costiero è di 36 km. E’ largo 2,5 km e lungo 13,4. La profondità massima è di 143 m, quella media di 71. Il centro più importante è Omegna, luogo di nascita del grande Gianni Rodari e matrice di due aziende che hanno contribuito al mito dell’italian style nel mondo, la Bialetti inventore della moka e la Alessi.

Dire che gli uomini lo hanno maltrattato è un eufemismo degno di quel diplomatico che era considerato capace di mettere d’accordo un interlocutore nervoso e una sedia vuota. Infatti, a partire dagli anni Venti del Novecento, le sue acque furono nel tempo rese quasi invivibili a causa degli sversamenti di solfati di rame e di ammonio prima della Bemberg (una importante industria tessile che produceva il rayon, una fibra tessile sintetica) poi, negli anni Sessanta, da una numerosa congerie di aziende che hanno “arricchito” il lago con un cocktail micidiale di sali di rame, cromo, nichel, zinco e chissà cos’altro ancora. Diventato tristemente famoso per essere uno dei bacini più inquinati del mondo e come tale oggetto di studi di esperti di mezzo mondo, solo nel 1989 ha potuto iniziare un percorso, prevedibilmente ancora molto lungo, di risanamento. In quell’anno, infatti, il locale, e prestigioso, Istituto Idrobiologico di Verbania e Pallanza ha progettato e diretto un piano di risanamento basato sull’utilizzo di enormi quantità di carbonati immessi in acqua che avevano lo scopo di “intrappolare” i metalli tossici facendoli precipitare sul fondo. Così facendo ne limitarono la concentrazione nelle acque consentendo anche il ripristino di valori di PH accettabili. Questa tecnica, usata per la prima volta in assoluto, è conosciuta come liming. Il tentativo ebbe successo e la risonanza internazionale fu grande.

Ottenuta una buona “pulizia” delle acque, ancora oggi resta da risolvere il problema dei sedimenti tossici che si sono accumulati sui fondali: si è infatti soliti dire che “le acque sono pulite ma i sedimenti sporchi”, del resto nulla si crea e niente si distrugge. E questo è un problema in quanto risulta profondamente alterata la comunità bentonica che vive sui fondali ed offre sostegno alimentare ai pesci (comunità pelagiche). Bisogna inoltre tenere in conto che il rimescolamento, anche fisico, e per le cause le più diverse, dei sedimenti è nella logica delle cose. Ergo, bisogna pulire asportando dai fondali il più possibile dei residui tossici depositati. Come fare? Ricorrendo alle cozze, alla loro grande capacità di depurazione e di accumulazione di inquinanti Un metodo, questa volta biologico, un progetto di “blue biotechnology”, che è in corso di attuazione, denominato Progetto RIS-ORTA – Risanamento biologico dei Sedimenti del lago d’Orta e Biomonitoraggio attivo delle aree costiere. Il progetto, che ovviamente vede in prima linea la dottoressa Riccardi, si affida alle riconosciute capacità della cozza Unio elongatulus (di cui sopra abbiamo detto a lungo), ricomparsa spontaneamente nel 2014 in località Gozzano dopo una lunga assenza provocata dall’inquinamento e da allora curata e letteralmente coccolata. Obiettivo primario del Progetto RIS-ORTA purificare i sedimenti mediante le cozze che fungono da depuratori naturali e al contempo facilitare la ricolonizzazione dei fondali da parte di queste cozze “buone”. Nella pratica l’operazione consiste nel “traslocare” le bivalvi là dove ritenuto utile in base a precisi criteri operativi. Si tratta del primo esempio di traslocazione di bivalvi in Italia.

Il tentativo di bioremediation (biorisanamento) prevede la posa in acqua di gabbie costruite con rete metallica progettate ad hoc e dislocate in diverse stazioni subacquee lungo il perimetro lacustre. Il protocollo operativo prevede la valutazione periodica del comportamento (ad esempio l’apertura/chiusura delle valve) e dello stato di salute dei molluschi e analisi di laboratorio. Indipendentemente dalla risposta comportamentale, è previsto che dalle gabbie siano prelevati 3 cozze per gabbia ogni 6 – 12 e 18 mesi dalla posa dei molluschi per poter procedere alla determinazione dei metalli tossici accumulati. Per facilitare la ricerca e il monitoraggio delle stazioni si fa uso anche di microchip applicati alle conchiglie, un tocco di information technology non privo di fascino.

ULTIMA ORA

CNR IRSA DI VERBANIA, QUESTA, DAL 19 SETTEMBRE, LA NUOVA DENOMINAZIONE DELL’ISTITUTO PER LO STUDIO DEGLI ECOSISTEMI DI VERBANIA

“Cambia il nome – scrivono in una dichiarazione congiunta a proposito del cambio della denominazione sociale, Vito Felice Unicchio, direttore CNR IRSA e Aldo Marchetto, responsabile della sede di Verbania – restano la nostra peculiarità e il nostro essere al servizio del territorio nel quale viviamo e degli enti e delle istituzioni che vigilano sulla sua tutela e salvaguardia.

Il CNR si evolve e si trasforma per cercare di rispondere al meglio alle esigenze del Paese. Il nostro passaggio all’IRSA va in questa direzione e vuole sottolineare ancora una volta che quello che tutti conoscono come l’Idrobiologico si dedica, e continuerà a farlo, allo studio dei nostri laghi, e non solo, per proteggere e conservare quello che è uno dei nostri beni più preziosi: l’acqua”.

video RAI TG-Regione: Le cozze sentinelle dell’ambiente

https://www.youtube.com/watch?v=S2SxCR1YS8k

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