magnoliaCommercio verde intorno alla figura di Sant’Antonio da Padova.

La sconcertante iniziativa commerciale della ditta Ambrogio Vivai di Leno (Brescia)

A scanso di equivoci (chiedo scusa per l’accenno personale, ma in questo caso è una necessità) chi scrive è cattolico praticante e non è animato da spirito positivista anticlericale o preconcetti ideologici di sorta. Precisato questo, veniamo al fatto. Sono rimasto sconcertato, lo scorso lunedì’ 27 luglio, leggendo l’intera pagina pubblicitaria del Giornale di Brescia titolata “La magnolia del Santo di Padova”, inserzione a pagamento a cura della ditta Ambrogio Vivai di Leno (Brescia). “Ebbene – si evince, fra l’altro, dal testo – dopo diversi anni di lavoro e di ricerche attraverso le biotecnologie più avanzate siamo riusciti a clonarla – il riferimento è alla famosa Magnolia grandiflora, albero monumentale, piantato nel 1810, spettacolare e maestosa per il fusto di 134 centimetri di diametro e ben 24 metri d’altezza, che troneggia all’interno del Chiostro della Basilica di Sant’Antonio detto per l’appunto “della Magnolia” – ottenendo piantine clonate controllate geneticamente per l’identità mediante Fingerprinting (che ne è l’impronta digitale genetica) e ad ottenere dalla Basilica Pontificia l’esclusiva della vendita allo scopo di offrire a tutti i devoti e a tutti quelli sensibili a questa tradizione, un ricordo vivente di Sant’Antonio. In effetti quella che proponiamo non è la figlia della magnolia ma la magnolia stessa in miniatura dal portamento compatto ed elegante che può essere collocata sia sul balcone di casa o in piena terra una volta esaurita la sua funzione ornamentale in vaso”. Non avendo sufficiente competenza tecnica non mi permetto un giudizio sulla validità dell’affermazione scritta che la piantina “non è la figlia della magnolia ma la magnolia stessa in miniatura”: mi preme però sottolineare che la “pianta madre” è stata piantata nel 1810 e l’affermazione – a prescindere dall’italiano zoppicante ed alquanto asmatico del testo pubblicitario – “un ricordo vivente di Sant’Antonio” è a dir poco ambigua e poco seria. Ma il bello, si fa per dire, deve ancora arrivare: “ la piantina benedetta ( l’aggettivo benedetta è evidenziato in grassetto seguito, tra parentesi, dalla notazione “viene offerta, fino ad esaurimento, con l’etichetta antistrappo che ne testimonia l’origine e l’autenticità”.
Per la sua importanza – è visitata da milioni di pellegrini e visitatori ogni anno – la Basilica è di proprietà, attraverso lo strumento dell’ente ecclesiastico civilmente riconosciuto “Basilica di S. Antonio in Padova”, della Santa Sede, cioè del Vaticano. L’apposita Delegazione Pontificia per il Complesso Antoniano sovrintende all’attività di questo monumento insigne per spiritualità e cultura ma, al tempo stesso, sede di commerci ed attività economiche di rilevante entità. La custodia religiosa è affidata ai Frati Minori Conventuali, francescani come del resto lo fu Sant’Antonio, forse il più famoso dei seguaci del Santo di Assisi.
E’ sconcertante che, nel 2015, si faccia leva sull’aspetto religioso più popolare – la benedizione – per incrementare le vendite di qualsivoglia bene. Ci chiediamo, a questo punto, e sarebbe opportuno un chiarimento da parte delle competenti autorità ecclesiastiche, quando e in quale modo le piantine vengono “benedette”: forse una tantum o magari a mezzo web-cam? L’etichetta antistrappo garantisce anche la “veridicità” della benedizione?
La coltivazione – intuitivamente, in quanto non ne abbiamo conoscenza diretta – avviene a Leno e in ogni caso presumibilmente a non poca distanza dalla patavina Basilica Antoniana. Per restare in un ambito simile anche se non è propriamente lo stesso e allo scopo di esemplificare meglio il nostro pensiero, sottolineo che il rapporto fra cibo e religione è un aspetto molto serio che implica l’osservanza di regole severe e stringenti. E’ il caso, a tutti noto, del cibo Kosher per gli Ebrei (che significa conforme alla legge e come tale consentito) e, per i Musulmani, l’Halal, che implica il rispetto di norme altrettanto stringenti. Non crediamo che la chiesa cattolica abbia codificato norme cogenti, motivo per il quale la “benedizione” reclamizzata in grassetto lascia come minimo perplessi a meno che non si tratti di una “benedizione all’italiana, così tanto per dire” come cantava il grande Nino Manfredi. Stupisce inoltre che un giornale di stretta osservanza cattolica, spesso persino bigotto e reticente sui fatti di chiesa come il Giornale di Brescia, abbia accettato di pubblicare sic et simpliciter un’inserzione a dir poco opaca. Certo, con i tempi di magra che corrono, una pagina di pubblicità fa comodo, lo si capisce, ma almeno un’occhiata per togliere macroscopiche anomalie è un dovere per un quotidiano di così lunga e consolidata tradizione. E che dire dell’azienda produttrice, la Ambrogio Vivai di Leno? Fondata da Giovanni Ambrogio – pioniere dell’ibridazione su larga scala: fu il primo ad ambientare negli anni Settanta del secolo scorso il kiwi in Italia – costituisce una realtà molto significativa nel panorama vivaistico. La caduta di stile di cui si è resa comunque protagonista con questa a dir poco infelice inserzione, a prescindere da ogni altra considerazione, ha offeso la sensibilità di tanti seguaci di sant’Antonio e, soprattutto, di san Francesco, ego quorum.

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