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Non occorre essere Voltaire per sapere che le convinzioni religiose, filosofiche ed etiche vanno accettate, ancorchè non comprese o comprensibili. Punto. E va pur detto, ad onore della verità, che le condizioni di vita di molti animali e in molti allevamenti- soprattutto di quelli cosiddetti di bassa corte: pollame e conigli – non sono ottimali e resta ancora molto da fare per migliorare, anche nell’interesse degli stessi allevatori, le condizioni di vita dei soggetti allevati. Ma è altrettanto vero che molto è stato fatto e ciò va ascritto, in buona misura, a merito degli animalisti che, quando non partono per la tangente che li porta non si sa dove, possono dare un contributo a sollevare problematiche che toccano aspetti etici importanti.
E’ fuor di dubbio che la civiltà di un popolo si misura anche da come tratta, ed alleva, gli animali da reddito. Tradotto in soldoni, e senza girarci tanto attorno, quelli che ci sfamano con i loro prodotti, siano essi carni, latte, formaggi e uova. E’ una pratica cruda, quella dell’allevamento coatto, che può essere anche crudele, ma è a dir poco indispensabile per la nostra sopravvivenza.

La moda vegetariana e quella vegana, ancora più radicale in quanto respinge l’utilizzo a scopo alimentare di qualsivoglia cibo d’origine animale, è una scelta di vita che personalmente riteniamo profondamente errata (in quanto l’uomo è onnivoro ed è anche questo uno dei motivi che l’ ha portato a prevalere su tutte le altre specie), ma va comunque rispettata. Ma allo stesso modo va rispettato l’agire, il sentire e il comportamento alimentare di chi convintamente onnivoro, – e noi diciamo giustamente ed altrettanto convintamente carnivoro – intenda avvalersi di abitudini e tradizioni alimentari millenarie suffragate da riscontri scientifici ineludibili. Condannando ovviamente gli eccessi. Come sempre in medio stat virtus!

L’ineffabile onorevole Michela Vittoria Brambilla – 48 anni, parlamentare di spicco di Forza Italia alla Camera e come tale membro del gruppo guidato dall’effervescente e spesso iracondo Renato Brunetta, amazzone senza paura di re Silvio (ovviamente Berlusconi, del quale fu un ministro del turismo semplicemente da dimenticare, attualmente presidente della Commissione parlamentare per l’Infanzia e l’adolescenza nonché componente della Commissione Affari sociali della Camera – poco tempo fa ha superato largamente i limiti del sopportabile e dell’accettabile. Lo scorso 30 gennaio ha infatti presentato una proposta di legge per il “ Riconoscimento dei conigli quali animali d’affezione nonché divieto delle vendita e del consumo delle loro carni e dell’utilizzazione delle loro pelli e pellicce a fini commerciali “.
La proposta di legge prevede, per chi violasse il divieto e si permettesse, tanto per fare un esempio, di consumare un bel coniglio al forno con le patate o un più sofisticato e ricercato coniglio all’ischitana cucinato nella teglia di terracotta, ben due anni di reclusione. E’ evidente che qui non si tratta di difendere il diritto a non alimentarsi con carni di un animale che si ritiene di affezione (scelta del tutto libera e non sindacabile per i principi prima sottolineati) ma di una vera e propria incursione contro le abitudini di chi la pensa – sottolineo: giustamente – in maniera opposta. E, deputata Brambilla come direbbe il grillino perennemente sbraitante, deve capire, e mettersi in testa, che la sua libertà finisce laddove comincia la mia e che se io devo rispettare lei, anche lei deve rispettare me. Anche se non ci piacciamo a vicenda. E, di questo aspetto, personalmente, mi compiaccio.

Senza dimenticare che l’allevamento cunicolo rappresenta un’entità economica, e quindi fonte di lavoro, tutt’altro che trascurabile. Secondo stime attendibili della Fnovi (la Federazione degli Ordini dei veterinari) l’Italia è il secondo produttore mondiale di conigli (6,9% del totale mondiale e 25,5 su scala europea). In Europa, Spagna (4,2% del totale mondiale e 15,5 a livello europeo) e Francia (rispettivamente con il 2,9 e il 10,8 per cento) seguono il nostro Paese.
Il continente asiatico primeggia (40% della produzione mondiale, con la Cina in prima posizione con il suo 33%), mentre l’Europa segna un calo importante essendo passata negli ultimi anni dal 60% al 27%. Da noi la regione leader è di gran lunga il Veneto con circa il 40% della produzione nazionale. La provincia guida è Treviso che annovera circa 500 allevamenti specializzati che fatturano intorno agli 85 milioni di euro. La produzione nazionale di carne è pari a circa 340mila quintali per circa 23 milioni di capi.
I prezzi medi – tradizionalmente altalenanti a seconda del periodo stagionale e ciò rappresenta uno dei principali problemi economici di questo comparto zootecnico – oscillano, indicativamente, dai 2,12 euro al kg rilevati a gennaio ai 1,35 euro di luglio. I costi di produzione medi sono stimati in 1,8 euro al kg. La variabilità dei prezzi, la stagionalità (soprattutto invernale) della domanda, la struttura produttiva polverizzata e l’assenza o l’inadeguatezza di politiche informative e di promozione specifiche, unite all’età anagrafica piuttosto alta dei consumatori, sono tutti fattori che hanno contribuito alla diminuzione dei consumi in atto. Un vero peccato in quanto la carne di coniglio, “bianca” per definizione, a basso contenuto di colesterolo, trova svariate indicazioni dietetiche e, in cucina, approntata come si deve, è molto utile per superare il monotono tran tran quotidiano.

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