immaginenicolettaravasioProdurre e sviluppare nuovi materiali alternativi ai prodotti di sintesi partendo dai residui vegetali e agroalimentari, è questa la filosofia di fondo che muove l’attività di ricerca di molti scienziati. In Italia queste ricerche sono oggetto di studi particolarmente approfonditi all’Istituto di Scienze e Tecnologie Molecolari del Cnr di Milano (ISTM) coordinati da Nicoletta Ravasio, un’autorità in questo campo. Si tratta di ricerche applicate di grandissima importanza per le ricadute industriali, ecologiche ed economiche che possono avere. Non mancano risultati confortanti e la ricerca italiana si sta facendo decisamente onore. “Ci stiamo concentrando su alcune filiere distribuite su scala mondiale – sottolinea la dottoressa Ravasio – quali succhi di frutta, latte, riso, pane e i prodotti da forno e, per i paesi mediterranei (Italia, Spagna e Francia), sui cicli produttivi del pomodoro e del vino”.
Sono masse imponenti di sottoprodotti che, se adeguatamente trattati, potrebbero da un lato produrre materie prime di grande valore, dall’altro risolvere problemi di smaltimento difficili da gestire ed economicamente onerosi. Come dire che da problemi, questi ed altri sottoprodotti dell’agro-industria, potrebbero trasformarsi in opportunità sia economica che industriale. E’ il caso, particolarmente importante per i volumi da trattare e l’intrinseco carico inquinante, del siero di latte, oggetto di studi sempre più approfonditi e che fanno ben sperare.
Nello specifico il siero di latte è uno dei principali prodotti di scarto dell’industria casearia non fosse altro per via dei circa 9 litri che residuano dalla produzione di un chilo di formaggio. Il siero di latte è composto da molti componenti, calcolati sulla frazione secca: 50/75% di lattosio; 8/14% di proteine; 6/8% di sali minerali. Sono inoltre presenti altre sostanze organiche che lo rendono di difficile smaltimento. Il tradizionale utilizzo per alimentare i suini non è più sufficiente ed altre metodologie sono o onerose (il conferimento a ditte specializzate costa intorno ai 50 euro a tonnellata) o problematiche sotto il profilo ambientale. Si stima che in Italia vengano annualmente prodotte 9 milioni di tonnellate di siero: un quantitativo imponente che potrebbe costituire una fonte quanto mai significativa per la trasformazione industriale. Dalla sua lavorazione è già ora possibile ottenere materie prime e sostanze chimiche ad alto valore aggiunto.
In alcuni impianti si procede all’essiccazione per ottenere il siero in polvere che viene usato per mangimi per uso zootecnico e in molti preparati per l’alimentazione umana. La frazione proteica – evidenziano gli esperti – viene estratta facilmente, poi raffinata e venduta come integratore alimentare di proteine per gli sportivi o utilizzata in cosmesi e farmaceutica. Il lattosio, il componente principale del siero, “può essere cristallizzato dallo scarto e utilizzato in prodotti per l’infanzia o come agente riempitivo in formulazioni farmaceutiche”.
Questi impieghi del siero sono già abbastanza remunerativi ma le nuove metodologie in fase di perfezionamento e che sono in attesa di start-up industriali che le testino e le valorizzino, promettono di ricavare diversi altri prodotti ad alto valore aggiunto. Infatti, nell’ambito del progetto portato avanti dal CNR ISTM di Milano è stato possibile ottenere i due zuccheri (glucosio e galattosio) che lo compongono i quali a loro volta, opportunamente trattati, producono sorbitolo e galatticolo. Il sorbitolo, di uso piuttosto comune, è molto utilizzato come dolcificante per diabetici e nella fabbricazione delle gomme da masticare in quanto non provoca la carie dei denti. Sono invece ancora poco note le proprietà del galatticolo in quanto poco presente in natura. Diverse le ipotesi allo studio per la sua valorizzazione, fra le quali l’utilizzo nella conservazione dei manufatti archeologici in legno.

Sempre in ambito più propriamente industriale, altri ricercatori italiani ipotizzano l’utilizzo del lattosio per rendere solubili in acqua alcuni coloranti in modo da ottenere vernici a base acquosa facilmente biodegradabili. E’ stata inoltre proposta la preparazione di un film plastico biodegradabile per il packaging di alimenti e – aspetto, questo, molto importante che potrebbe costituire un’autentica svolta in un settore di grandissima potenzialità ed urgenza ambientale – la degradazione dell’amianto: “Il pH acido del siero permetterebbe – spiegano gli esperti – la disgregazione della matrice cementizia dell’eternit e la successiva degradazione dell’amianto in ioni metallici (principalmente nichel, ferro, manganese e cromo) che verranno successivamente separati elettrochimicamente.
Il restante materiale è costituito da silicati e fosfati e può essere utilizzato come fertilizzante”. Questo metodo “elegante”, com’è definito in una nota con un aggettivo caro agli uomini di scienza, “permette di eliminare un inquinante pericoloso, utilizzare uno scarto fastidioso e guadagnare”. Quasi la quadratura del cerchio.

Il prossimo 5 agosto, nel Padiglione Italia di Expo, nell’ambito di un incontro ad alto livello su queste tematiche che aspettano solo il momento di “esplodere” a livello tecnologico-produttivo, la già menzionata dottoressa Nicoletta Ravasio farà il punto della situazione sul tema “Da scarto a scienza: il concetto di bioraffineria applicato alle produzioni alimentari”. Ne proverà gioia – ne siamo convinti – là nei campi eterni dove il destino ed anche le sue colpe lo hanno prematuramente portato, Raul Gardini, il duro e cocciuto “Contadino” che prima di tutti, in Italia, ormai molti anni fa, con la Ferruzzi ed Enichem intuì che la “chimica verde” sarebbe stata il futuro. Senza dietrologia alcuna, ci sembra giusto ricordarlo.

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