da: La Gazzetta di Parma

Solo a chiamarlo ormai Natale arriva, malgrado tutto sempre pieno di malia e fascino. E con lui arrivano le “feste”, nell’accezione enogastronomica declinate nei modi più vari e diversi a seconda dei luoghi e degli ambienti che contribuiscono a fare grande la nostra Italia.

I soliti beninformati, nella fattispecie quelli che guardano all’America convinti che sia ancora – e non lo è più – l’ombelico del mondo, di questi tempi evidenziano la moda, vogliamo chiamarla “brodomania” come la definisce qualcuno?, di sorseggiare per strada, con l’immancabile bicchierone al seguito, del brodo di carne caldo. Qualcosa di simile, sia pure con un tocco “più in” ed un italian style che ci appartiene geneticamente, sembra stia prendendo piede anche a Milano. Una rivisitazione in chiave ruspante e “caldosa”, questa, di una certa “Milano da bere” che ha lasciato segni indelebili, soprattutto in negativo?. Personalmente spero di no sotto il profilo modaiolo, e in un bel sì se si ritornasse a gustare una piatto, una vera e propria pietanza liquida, che appartiene alla grande tradizione italica.

Al di là delle metafore per così dire di costume, il brodo di carne – di tutte le carni: dal manzo al pollo, dal tacchino all’anitra, dal suino alla pecora ancorché questi ultimi meno frequentati ma non per questo meno buoni – è ancora oggi un must in cucina dove chef, semplici cuochi e massaie avvedute lo utilizzano in mille modi. Ancora ai tempi dell’Italietta protesa verso il boom economico che oggi manco ci sogniamo di notte, era la regola: un poco di carne bovina, la mitica gallina, ossa e frattaglie per insaporirlo e dargli colore costituivano la base del pranzo domenicale con un piatto fumante di una delle molte versioni di pasta ripiena (tortellini, anolini, ravioli e via discorrendo) presenti ovunque.
Del resto, come ci ricorda il sito Carni Sostenibili a cui certo non difettano le conoscenze in materia, il brodo di carne (obbligatorio il corollario delle verdure di rito: sedano, carote, cipolla, patate e/o spezie a discrezione) è un vero e proprio alimento: sano, nutriente, e saziante, ricco com’è delle vitamine, delle proteine e dei minerali della carne. Con l’aggiunta (è il meglio anche per il palato ) di ossa non prive di grasso, di cartilagini e di una qualche frattaglia, ad esempio i mitici fegatini dei polli – forse non diventa “un vero e proprio botox naturale anti-age” – ma di certo si trasforma in un alimento sapido, gustoso, digeribile: una vera e propria miniera di sali minerali biodisponibili e con pochissime calorie. Non a caso oggi viene definito, con un anglismo una volta tanto azzeccato, “comfort food” (cibo del conforto), concetto ben noto a mille generazioni di mamme e nonne che lo servivano, in tazza calda, in primis alle partorienti e alle puerpere e più in generale negli stati influenzali, in presenza dei malanni da raffreddamento e in caso di stanchezza ed inappetenza e in genere quando c’è la necessità di assumere cibi poco calorici e liquidi. Studi recenti hanno del resto evidenziato che il brodo di pollo svolge una conclamata funzione antinfiammatoria.

Per fare il brodo buono le carni vanno rigorosamente messe in pentola con acqua fredda, si deve fare il contrario se si privilegia il bollito. La bollitura deve essere lenta. Del resto il borbottio regolare dell’acqua che si agita nella pentola nel mentre si fa man mano brodo espandendo il profumo degli “odori vegetali” messi a bollire e i vetri delle finestre si appannano quasi volessero racchiudere e proteggere l’intimità del desco, fanno casa. Fanno famiglia. Fanno festa. Fanno Natale.
Non è un caso che nella vasta area geografica padana, un tempo, il brodo fosse considerato un aperitivo beneagurante. Ce lo ricorda il prof. Giovanni Ballarini, scienziato di fama internazionale in campo veterinario e zootecnico, cultore delle tradizioni gastronomiche e past president dell’Accademia Italiana della Cucina: “un’abitudine che nelle famiglie di campagna del passato assumeva la forma di un rito. All’inizio del pasto, quando non si era ancora seduti, ma era già sul tavolo la zuppiera con la minestra, gli uomini si impossessavano di una tazza, la stessa che serviva per bere il vino, dove versavano un poco di brodo aggiungendo un poco di vino. Era il rito del “bévr in vén” (a Parma) o del “sorbir” (nel mantovano).

Sia come sia, un brodo di carne fatto come si conviene deve avere gli “occhi” bei grandi e gialli come il sole, essere ben caldo – per gli amatori anche la tazza o la “fondina” nel caso della minestra – e imbiancato da una generosa “nevicata” di grana è qualcosa di più di una semplice tazza di brodo: è una piccola goduria che fa anche bene e, ai più golosi, “apre” anche lo stomaco. Per i cimenti successivi.

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