da growledlamp.it

COLDIRETTI 10MILA POSTI DI LAVORO ELIMINANDO DIPENDENZA DALL’ESTERO
MA ALLA SCIENZA IL COMPITO DI DARE INDICAZIONI RESPONSABILMENTE CHIARE AD USO DELLA POLITICA E DELL’OPINIONE PUBBLICA

“La coltivazione, trasformazione e commercio della cannabis a scopo terapeutico per soddisfare i bisogni dei pazienti potrebbe avvenire anche in Italia e garantire un reddito di 1,4 miliardi e almeno 10mila posti di lavoro dai campi ai flaconi. E’ quanto stima la Coldiretti nel commentare le dichiarazioni del Ministro della Salute Giulia Grillo sull’aumento del 50% dell’importazione in Italia di Cannabis terapeutica dall’Olanda. Solo utilizzando gli spazi già disponibili nelle serre abbandonate o dismesse a causa della crisi nell’ortofloricoltura, la campagna italiana – sottolinea la Coldiretti – può mettere a disposizione da subito mille ettari di terreno in coltura protetta. Si tratta di ambienti al chiuso dove più facilmente possono essere effettuate le procedure di controllo da parte dell’autorità preposte per evitare il rischio di abusi. Una opportunità che va attentamente valutata per uscire dalla dipendenza dall’estero e avviare un progetto di filiera italiana al 100 per cento che unisce l’agricoltura all’industria farmaceutica. Una prima sperimentazione che – le conclusioni di Coldiretti – potrebbe aprire potenzialità enormi se si dovesse decidere di estendere la produzione in campo aperto nei terreni adatti: negli anni 40 del Novecento con ben 100mila ettari coltivati l’Italia era il secondo produttore mondiale della Cannabis sativa, che dal punto di vista botanico è simile alla varietà indica utilizzata a fini terapeutici. “L’agricoltura italiana è oggi pronta a collaborare per la creazione di una filiera controllata capace di far fronte a una precisa richiesta di prodotti per la cura delle persone affette da malattia, ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo nel sottolineare che “si tratta anche di un progetto innovativo che potrebbe vedere il nostro Paese all’avanguardia nel mondo”.

Francamente stupisce che la Coldiretti – l’organizzazione agricola oggi di gran lunga più importante, cioè quella in grado di dettare l’agenda politico-sindacale anche alle altre, Confagricoltura compresa ormai ridotta al ruolo di presenza di facciata o poco più, chiusa com’è nel suo recinto tecnocratico e autoreferenziale – abbia bypassato a spron battuto le osservazioni critiche che il Consiglio Superiore di Sanità ha manifestato in merito alla vendita,  oggi legale, di molti prodotti a base della cosiddetta Cannabis light ormai disponibili in centinaia di negozi sparsi in tutto il Paese.
Chi scrive, non avendo adeguate competenze medico-scientifiche in materia, non si sente autorizzato ad esprimere un proprio giudizio su un argomento così complesso, ma ritiene opportuno sottolineare che la Coldiretti – da tempo un vero e proprio panzer informatico molto ben oliato e presente con una capillarità che in questo momento forse non ha riscontri nel panorama politico-sociale italiano come dimostra il comunicato emesso a tamburo battente per “sensibilizzare” il ministro della Salute Giulia Grillo – non ha in questo caso – avendo scelto sic et simpliciter la strada dell’economia, della produzione a prescindere, in una parola del business – fatto ricorso al principio di cautela che sempre utilizza nei momenti delle scelte difficili. In particolare quelle che intrecciano le questioni ambientali connesse all’attività agricola con la salute dei cittadini. Due pesi e due misure: ne prendiamo atto.
Crediamo che le raccomandazioni del Consiglio Superiore di Sanità – parere consultivo, va pur detto, essendo la scelta riservata alla politica, nella fattispecie al Ministero della Salute – sostanzialmente contrarie alla vendita generalizzata di prodotti contenenti cannabis light in base al principio di precauzione e di tutela dei consumatori inconsapevoli, ci sembra dovrebbe essere valutata. e soprattutto portata a conoscenza dell’opinione pubblica, con la chiarezza per non dire la virulenza che alla Coldiretti certo non manca quando spara a zero , ad esempio, sul cibo italiano taroccato o sul trattato Ceta. Per parte nostra, nel mentre auspichiamo che l’opinione pubblica sia chiamata ad esprimersi sulla scorta di un dibattito serio e coinvolgente per consentire ai decisori politici scelte il più possibile condivise, dall’altro crediamo che la comunità scientifica debba essere chiamata al suo primario dovere di fare chiarezza e di esprimersi secondo scienza e coscienza. E non è una tautologia. In un paese come l’Italia che a forza di rinvii da parte di una politica che non sa governare, di burocrazie imbelli e irresponsabili ed anche, purtroppo, di magistrature arroganti e autoreferenziali corre il rischio di “far saltare il mare” alla Xylella (la peste degli olivi dilagante in Puglia) nel qual caso la malattia diventerebbe un vero e proprio flagello mediterraneo di portata storica, il ricorso alla scienza è una necessità ineludibile. Forse scomoda, certo passibile di ripensamenti, ma l’unica – quando a parlare è la scienza e non la cialtroneria o il sentito dire – di indicare se non la retta via almeno la preferibile.

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