La scommessa di un paese già nel futuribile ma che cerca di restare aggrappato alle antiche tradizioni.

 

Il Giappone è un paese affascinante in bilico com’è fra gli aspetti più futuribili della tecnologia e il mantenimento di tradizioni e di una cultura millenarie. Il tutto corroborato dalla dignità di un popolo che, forse, oggi non ha eguali nel mondo. La terribile esperienza dello tsunami di Fukushima del gennaio 2013 lo testimonia chiaramente

Valeria Leoni

E’ in questa cornice di fondo che ci sembra vada inquadrata la presenza e il ruolo delle carpa koi, pesce d’acqua dolce, l’animale nazionale del Giappone, vero e proprio concetto di unità ed appartenenza che viene espresso con il termine kokugyo.  Una presenza, quella della carpa, profondamente radicata nella mitologia e quindi nell’atto fondativo della cultura tradizionale che racconta che una di esse, risalendo con grande impegno e difficoltà una ripida cascata, venne premiata dagli Dei che la gratificarono trasformandola in un drago colorato. E nei cieli giapponesi  di frequente svolazzano i koinoberi, grandi carpe di carta o stoffa dipinti a colori vivaci che ondeggiano come nuotassero nell’aria: un augurio di forza fisica e spirituale oltre che di crescita e successo sociale. Nel sentire comune la koi è considerata un animale coraggioso, simbolo del successo a cui conduce la costanza e l’impegno. Non stupisce quindi che le carpe, sia le grigie che le koi colorate – un arcobaleno di colori: arancio, giallo, bianco, rosso, nero, azzurro che possono anche variare nel corso della vita – costituiscano una parte fondamentale del giardino tradizionale in cui la terra e la staticità sono simboli maschili (yang) mentre l’acqua e la sua scorrevolezza sono simboli yin (femminili).

“ La carpa koi – questo è il concetto fondamentale che sta alla base del rapporto intensissimo che intercorre fra questo pesce allevato con cure e moltissime attenzioni al limite del maniacale e il giapponese inteso come il classico uomo della strada – è una forma d’arte vivente in cui gli strumenti dell’artigiano (l’allevatore -n.d.r.) sono la genetica e la tecnica di allevamento. E al giorno d’oggi alcune  di queste koi competono con una Ferrari come oggetto di prestigio in quanto raggiungono costi stellari “. Sono parole di Valeria Leoni, giovane naturalista italiana, laureata, che si è letteralmente innamorata di questi pesci affascinanti dopo averli ben conosciuti nel corso di un prolungato stage nelle Alpi giapponesi (così chiamate all’italiana) che l’ha portata ad ideare il documentario “ Koi i gioielli viventi del Giappone “ che è stato prodotto dall’Università di Pisa. Ne sono responsabili scientifici Roberto Barbuti e Paolo Berni dell’Università che ha sede nella città della Torre Pendente. E’ fruibile in rete: https://www.youtube.com/watch?v=mRtkbd5S2dY

Fotografia di Valeria Leoni

In altre parole le koi sono opera dell’uomo e il suo facitore – l’allevatore – si sente, si reputa e vuole essere considerato come un “ artista “ in quanto i colori e i disegni che la koi porta impressi sul suo corpo sono “ le pennellate “ che l’artista-allevatore “ ha dipinto “, o cercato di dipingere, su un corpo vivente. Concetto forse non facile da comprendere ma che risponde a codici di lettura ben precisi e codificati, in ogni caso di indiscutibile fascino. Merito della Leoni è di aver presentato il mondo delle koi al di fuori della ristretta cerchia degli appassionati e degli esperti, relativamente pochi  in Italia, nel corso di un seminario tenuto sul finire dell’estate all’Università della montagna di Edolo che continua ad affermarsi, con un grande numero di iniziativa, quale snodo ormai ineludibile di informazioni in entrata e in uscita sugli aspetti i più disparati della vita nelle zone montane. E proprio dall’esposizione della Leoni riprendiamo, senza nessuna pretesa di esaustività, una serie di notazioni per  cercare di conoscere un poco questi pesci tanto vicini all’uomo da essere considerati, e anche chiamati, “ cani d’acqua “: capaci come sono di affezionarsi a chi si prende cura di loro, di riconoscerne la voce e persino di avvicinarsi ai richiami amici. Del resto sono animali molto longevi, fino a 70 anni. Un esemplare famoso, vero e proprio Matusalemme di ben 226 anni, è morto pochi anni fa.

L’allevamento delle koi com’è attualmente inteso è fatto risalire al cosiddetto periodo Edo (1603-1868) nel corso del quale ha avuto inizio la selezione in base al colore e ai “ disegni “  che ha portato ai 100 tipi di oggi. All’inizio del secolo scorso, precisamente nel 1916, si fece ricorso alle tecniche di incrocio della genetica mendeliana mentre oggi, dopo che nel 2014 è stata completata la mappatura del genoma, è sempre più di scena l’ingegneria genetica.

Al pari di tutte le numerose cugine, anche la koi è onnivora: viene alimentata per il 60% con vegetali e per il 40% con mangimi d’origine animale. Nei piccoli allevamenti famigliari – la gran parte degli impianti, essendo i cosiddetti allevamenti industriali relativamente pochi –  dove è oggetto delle attenzioni e delle cure di tutti i componenti, non disdegnano di alimentarle con i resti di cucina  e spesso “ buttano “ in acqua spaghetti molto graditi quasi fossero anche loro italiane;  non mancano aggiunte particolari quali i petali di fiori. Si fa normalmente uso, importante, di Spirulina, un’alga che influisce sui colori.

Il sistema di allevamento, nel complesso relativamente semplice quanto è invece complicata la ricerca e la fissazione dei caratteri morfologici, ha la caratteristica non comune della monticazione o, per dirla con un’espressione propriamente zootecnica, della transumanza.

Fotografia di Valeria Leoni

Originari delle Alpi giapponesi questi pesci, nel periodo invernale, vengono ricoverati in pianura e poi trasportati in montagna a primavera, né più né meno dei bovini che vanno all’alpeggio. E in montagna le koi, in acque pure e ricche di plancton fondamentale per la loro salute, si fanno belle. Per la riproduzione è generalizzato il ricorso, con grandissimo rispetto dell’animale, all’inseminazione artificiale assistita provvedendo alla spremitura, previa anestesia, sia del maschio che della femmina. La fecondazione, per facilitare la selezione, è attuata con il metodo detto “a secco “. A sovrintendere allo sviluppo del settore, che costituisce una realtà economica non banale e che gli addetti ai lavori intendono ampliare ulteriormente incrementando le esportazioni (per lo più in Usa. Inghilterra, Germania, Svizzera ed anche in Italia), è una task force di scienziati e di tecnici che si sostanzia in ben 102 laboratori sperimentali governativi e una complessa filiera di controlli, coordinata dal ministero dell’Agricoltura, che coinvolge tutte le autorità presenti sul territorio. Le carpe vendute all’estero sono munite di passaporto sanitario e di pedigree che attesta le caratteristiche generiche.

Infine, e di certo non per importanza, una qualche considerazione sugli aspetti economici. Il giro d’affari è molto consistente e contribuisce in misura sostanziale all’economia – anche turistico/ricettiva – delle aree alpine interessate all’allevamento. Il valore del singolo soggetto, primo asset il patrimonio genetico a seguire colore e morfologia dei “ disegni “, indicativamente copre un range molto ampio che parte da 10 Eu per gli esemplari dozzinali fino ai 100 Eu pro capite. Le categorie superiori possono facilmente raggiungere quotazioni elevatissime, anche dell’ordine di diverse migliaia di euro.

Molto caratteristico ed interessante il sistema di vendita tradizionale che prevede la messa all’asta che si svolge in strutture costruite su piccoli canali d’acqua nei quali le carpe vengono messe all’incanto riposte in cassettine galleggianti che formano caratteristici trenini oggetto dei desideri delle speranze o delle delusioni dei partecipanti. Come del resto succede in tutte le aste che si rispettano.

Nella terra del Sol Levante sono ovviamente numerosi i concorsi, i cosiddetti Koi Show, il principale dei quali prevede la consacrazione del Gran Champion  dell’anno,  che rappresenta un appuntamento di fondamentale importanza per gli operatori e appassionati di tutto il mondo e registra introiti multimilionari. Qualcosa comincia a muoversi anche in Italia. Proprio nel mese di settembre di quest’anno a Cesena si è appena svolto con successo il Koi Show Campionship 2017 organizzato da A.i.k.o, l’Associazione italiana Koi. Per chi volesse approfondire la realtà italiana segnaliamo l’allevamento “ Luca Ceredi Koi Farm “ di Borello di Cesena e la struttura commerciale, in provincia di Bolzano, “ Koi Garden Rio di Pusteria “.

 

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