L’impegno di Fondazione UNA per la costituzione di una filiera delle carni di selvaggina controllata e sostenibile nel segno di una commercializzazione contrassegnata dalla legalità e dalla trasparenza
In questa strana società italiana contrassegnata da forme di schizofrenia comportamentale a dir poco incomprensibili – storici olivi e vigneti con boschi del Pisano che, mentre scriviamo, vanno a fuoco come un pugnetto di legna secca gettata nel camino mentre l’on. Vittoria Brambilla, animalista forsennata, sproloquia contro i cacciatori come solo lei sa fare – spesso, “per andare avanti”, si è costretti “a tornare indietro”. E’ il caso della selvaggina, carni di alta qualità nobilitate da una tradizione che si perde nella notte dei tempi, ormai da troppo tempo rinchiusa nelle consuetudini domestiche di manipoli di cacciatori per lo più di montagna, di ristoranti o trattorie resilienti come usa dire oggi e/o di un numero comunque ristretto di appassionati, per così dire non proprio giovani.
La Fondazione UNA (acronimo di Uomo, Natura, Ambiente), che lodevolmente tenta di mettere insieme le istanze espressione della parte collaborativa dell’ambientalismo, del mondo agricolo e di quello venatorio e della scienza, ha portato alla ribalta dell’appena concluso Salone del Gusto di Torino le suggestioni delle carni della cosiddetta grossa selvaggina (cervo, daino, capriolo, camoscio e cinghiale).
Un comparto, nel suo insieme, questo, sostanzialmente negletto, poco considerato e praticato: un vero peccato in quanto la qualità delle carni sono di primordine (dati scientifici non impressioni di appassionati di stufati, spezzatini e salmì vari), “bio” in quanto l’animale cresce e vive libero in natura, ha pochi grassi ed è ricca di proteine e, diciamolo, è buona per non dire buonissima per chi ama i gusti forti tipici della cucina di montagna ricchi di erbe selvatiche e spezie. Lodevole quindi l’iniziativa del progetto “Buoni e Selvatici” che UNA ha lanciato da circa un anno per promuovere la costituzione di una vera e propria filiera della “carne rossa” di selvaggina, in particolare degli ungulati, garantendone la qualità, l’indispensabile rispetto delle norme igienico-sanitarie e – non strabuzzino gli occhi gli animalisti o i vegani prevenuti per principio – l’etica venatoria che può essere riassunta nel rispetto che il cacciatore “deve” al selvatico che va cacciato ed abbattuto con lealtà e immediatezza e, per l’appunto, rispetto. Senza dimenticare che si tratta di una risorsa assolutamente rinnovabile – come si suol dire basta prelevare, cioè cacciare, gli interessi e non intaccare il capitale faunistico – per alimentare un’economia territoriale significativa anche per i riflessi turistici che sottende. Va inoltre considerato che in questi ultimi anni gli ungulati e, purtroppo, anche i cinghiali si sono diffusi non di rado in misura sproporzionata causando danni importanti anche a colture di pregio quali i vigneti.
Cacciatori adeguatamente istruiti – il progetto li definisce, molto burocraticamente, con linguaggio da ASL invero infelice, “Persone Formate” sugli aspetti igienico-sanitari, elementi di anatomia e patologia, gestione delle carni, conoscenza delle diverse normative e di quella che potremmo definire una corretta “coscienza venatoria” – si presume siano in grado di trasformare un problema in risorsa con beneficio per molti.
Il progetto “Buoni e Sevatici”, testato in alcune valli del Bergamasco, a detta degli organizzatori con buoni risultati, ha evidenziato l’utilità dei corsi di teoria e pratica organizzati con la collaborazione delle istituzioni locali. Il saggio finale a tavola, in ristoranti fra loro diversi che hanno collaborato all’iniziativa, è stato un successo grazie anche alla preparazione di piatti innovativi e più moderni.
Dopo l’esordio bergamasco è quindi augurabile che il progetto “Buoni e Selvatici” – promosso da Fondazione Una, con la collaborazione dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, del Dipartimento di Medicina Veterinaria dell’Università di Milano e della Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva – trovi al più presto sbocchi operativi anche in altre zone del Paese. Tecnicamente la scelta non sarebbe difficile.